Tornare a casa di Tom Lamont - Abbiamo letto - ilRecensore.it
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Tornare a casa di Tom Lamont

Tornare a casa : Tom Lamont e la sua famiglia d’elezione

A trent’anni, con un lavoro stabile e un nuovo appartamento, Téo Erskine sente di aver finalmente preso le distanze da Enfield, il sobborgo di Londra in cui è cresciuto, e dalle pressanti richieste del padre Vic, che è sempre più bisognoso di cure.

Dopo una festa con gli amici d’infanzia, però, la vita di Téo cambia d’improvviso: Lia, il suo amore mai ricambiato, si toglie la vita mentre lui è a Enfield a fare da baby-sitter a Joel, il figlio di lei. E non solo: gli assistenti sociali lo nominano tutore del bambino, almeno finché non ne venga rintracciato il padre naturale. Tra dubbi e timori, Téo non può sottrarsi alla richiesta, quindi si stabilisce a Enfield nella casa del padre e inizia a prendersi cura del piccolo, coinvolgendo la nuova rabbina del quartiere e l’amico Ben. Ma dal passato riaffiorano vecchi rancori e segreti che obbligheranno tutti a fare i conti con l’età adulta e gli scherzi del destino.

Tornare a casa racconta la nascita di una famiglia inaspettata, che si forma attorno a un vuoto e che si salda in nome dell’amicizia e di un impegno profondo nella cura reciproca.

Tom Lamont ci consegna un esordio commovente, un racconto della paternità ironico e dolce, capace di sovvertire i ruoli sociali e di mettere in discussione le consuetudini e le regole dei legami di sangue.

Ci si interroga molto ultimamente sul tema della genitorialità, sulla scia dei sempre più frequenti fatti di cronaca accaduti in famiglia e di alcune serie tv che pongono in primo piano il rapporto genitori-figli.

Ma cosa vuol dire, in concreto, crescere un bambino? A chi pertiene la responsabilità educativa?

Solleva questo tipo di interrogativi Tornare a casa: lo fa attraverso la storia di Joel, un bambino che, dopo il suicidio della madre Lia, viene cresciuto da una compagnia alquanto improbabile di adulti.

È un’orchestra un po’ stonata quella composta dai due amici di infanzia di Lia, Ben e Theo, dal padre di quest’ultimo, Victor, e dalla rabbina Sibyl. Nessuno di loro legge libri sull’educazione dei figli o si mostra interessato agli indottrinamenti di pedagogisti ed esperti in materia. I personaggi si mostrano senza infingimenti, senza curarsi di piacere ai lettori.

Ben, in particolare, appare del gruppo quello più scalcagnato, nessun assistente sociale gli affiderebbe la cura di un bambino. Somiglia, nella sua goffaggine, al protagonista di C’mon C’mon: nel film di Mike Mills, un bravissimo Joaquin Phoenix interpretava il ruolo di uno zio alle prese con un nipote undicenne, che lo accompagnava in un viaggio fisico ed emotivo di crescita e di scoperta di sé.

Eppure, nella consapevolezza dei suoi limiti, Ben si accorge di essere cambiato grazie a Joel:

“Non mi sono mai immaginato di poter alzare una mano e dire: “Joel è mio e sta a me badare a lui”. Perché non avevo mai immaginato di dire: “Ho smesso di badare solo a me stesso”».
«Cos’è cambiato?».
«Ogni volta che parliamo con loro – con gli assistenti sociali di Joel – sento di poter confessare entrambe le cose contemporaneamente. Che sono suo padre. E che come padre sono un candidato imperfetto».

L’imperfezione può essere una buona compagna, quindi.

Lo dimostra anche il rapporto imperfetto e per questo autentico fra Theo e il padre Victor: si percepiscono gli attriti fra i due, le difficoltà di stare accanto a un genitore che invecchia e si ribella al decadimento del suo corpo, che scalcia di fronte alle sue fragilità e che tuttavia trae nuova linfa dalla presenza del bambino nella sua casa e pian piano impara a guardare il mondo con occhi nuovi, come se lo vedesse per la prima volta.

Gradualmente, impara ad arrendersi ai segni del tempo sul suo corpo, lascia che gli altri se ne prendano cura. Ognuno di loro diventa vicendevolmente genitore e figlio per gli altri, i ruoli si scambiano continuamente in questa famiglia, nata da una necessità (l’affido di Joel) e cresciuta per scelta.

Si allontanano e si cercano, discutono e si riappacificano, come accade in tutte le famiglie. I dialoghi sono genuini, vivaci, hanno l’immediatezza del parlato. 

Sullo sfondo, ci immaginiamo una Londra malinconica e brumosa, descritta con toni lirici ed evocativi, e i paesaggi sconfinati della Scozia, meta di un viaggio che diventa esplorazione di sé.

Ha il tocco lieve Tom Lamont e lo usa per sollevare riflessioni profonde sui legami di sangue, sulle relazioni che intratteniamo con gli altri, familiari o amici che siano, sui nostri limiti educativi e su quanto sia vero quel proverbio africano secondo il quale per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio. 

Tom Lamont - Tornare a casa - ilRecensore.it

Tom Lamont vive a Londra con la moglie e i due figli. Giornalista pluripremiato, scrive per The Guardian, The Observer e GQ America.

È tra i fondatori della rubrica giornalistica “The long read”. Ha intervistato personaggi celebri, scrive di libri, cinema, musica e sport. Tornare a casa è il suo romanzo d’esordio.

Autore

  • Donatella Vassallo

    Insegnante di professione, con una lunga carriera come giornalista, coltivo da sempre l’arte del dubbio e del silenzio. I libri mi permettono di entrare nelle vite altrui e di esplorarne i confini. Quando non leggo, cammino, corro o medito, nel tentativo di gustare fino in fondo ogni attimo del mio tempo. Sono molto selettiva nei gusti letterari: se vi consiglio un libro, vuol dire che mi ha fatto vibrare l’anima. E lo stesso vorrei succedesse anche a voi.

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