Buongiorno Stefano e benvenuto tra le pagine de ilRecensore.it, la rivista letteraria pensata per tutti i protagonisti di questa meravigliosa passione che è la lettura.
Stefano Izzo è senior editor alla Salani dal 2020. In precedenza ha lavorato per Rizzoli e DeA Planeta.
Ha curato i testi di autori come Sebastiano Vassalli, Walter Siti, Edoardo Albinati, Maurizio de Giovanni.
Nel 2019 ha ricevuto il premio come miglior editor italiano. È anche docente di professioni editoriali presso la Fondazione Mondadori, l’università di Pavia e la scuola Belleville.
1- Rompiamo subito il ghiaccio con una domanda che possa spiegare ai non addetti ai lavori quale ruolo hai come editor e perché hai scelto questa professione.
«Ho scelto questa professione perché più o meno intorno ai vent’anni mi sono reso conto di amare i libri – il loro contenuto, la loro forma, il loro valore – di un amore particolare, diverso da quello del semplice lettore.
Non mi accontentavo di leggerli, volevo capire com’erano fatti e volevo farli anche io. Non scriverli, farli. Ti è mai capitato di voler smontare un oggetto per scoprire cosa c’è dentro, come fa a funzionare, e cosa succede se provi a cambiare l’ordine dei pezzi? Ecco, avevo quel tipo di desiderio.
Potente, insopprimibile. E di quel desiderio continuo a nutrirmi ancora oggi che faccio l’editor, ovvero sono una di quelle persone che all’interno di una casa editrice selezionano i testi da pubblicare e ne curano la trasformazione in prodotto editoriale, al fianco degli autori»
2 – La lunga strada che ti ha portato a editare testi autorevoli e a collaborare con grandi case editrici come Rizzoli e Salani, ti ha condotto al premio come miglior editor italiano nel 2019. Quali sono stati i passi più importanti che ti ha portato a questo risultato?
«Nella mia personale esperienza, la differenza l’hanno sempre fatta gli incontri. Il primo e più importante è stato nel 2005, con Stefano Magagnoli, all’epoca direttore della narrativa straniera Mondadori, che mi ha aperto le porte di un mondo che fino a quel momento avevo potuto ammirare soltanto da lontano. Mi ha dato fiducia, mi ha buttato nella mischia, mi ha protetto: ho avuto molta fortuna.
Da lui e da quelli che sono venuti dopo di lui ho cercato di assorbire più che potevo. Poi, con il tempo, quando ho sentito di possedere almeno le basi del mestiere, mi sono sforzato di capire quale tipo di editor potevo e volevo essere io, quali valori per me fossero importanti, quali compromessi ero disposto a fare e quali no, cosa mi facesse stare bene come professionista e come essere umano.
Ho messo me stesso nel lavoro, ecco. E questo, in una navigazione che ha conosciuto cambi di rotta inattesi, mi ha portato a commettere degli errori, a rinunciare ad alcune occasioni d’oro, ma anche a raggiungere qualche risultato di cui sono tutto sommato orgoglioso.
3 – Il tuo lavoro si può definire un gioco di equilibri in continuo divenire, tra testo grezzo e quello raffinato. Dove finisce l’editor e inizia l’autore?
«Max Perkins, l’editor americano che ha dato una fisionomia a questo mestiere all’incirca un secolo fa, diceva che “l’editor non fa niente, al massimo rilascia energia”.
Sono totalmente d’accordo: l’editor è una persona che ascolta, che offre attenzione e la possibilità di un dialogo colmo di complicità, e guida l’autore verso la realizzazione di sé stesso.
Circa il lavoro sul testo, secondo me il bravo editor offre spunti, suggerisce soluzioni, senza sovrapporre il proprio gusto, la propria visione, a quelli dell’autore. Non è neppure così difficile, ma ci vuole il giusto carattere, un’attitudine naturale all’invisibilità»
4 – Esattamente come lo stile di uno scrittore, così ogni editor ha affinato un metodounico e personale nell’approcciare il testo. Quali sono i tuoi punti di forza?
«Dovresti chiederlo ai miei autori.
Ti dico cosa penso di metterci io: umiltà, empatia, cura, rispetto»
5 – Parliamo di soddisfazioni, quelle che arrivano dopo tanto lavoro e tanta passione, la più sorprendente quale è stata?
«Ti cito la più recente: lo scorso aprile, quando la biografia di Michele Ferrero l’inventore della Nutella, è andata subito al primo posto in classifica generale, vendendo praticamente tutte le copie delle prima tiratura in pochi giorni.
È un libro a cui tenevo molto, che nasceva da lontano, ma non mi sarei aspettato un successo così immediato e grande. Quando mi hanno telefonato per darmi la notizia, ho esitato a crederci e la notte non ho preso sonno per un bel po’.
È il bello di pubblicare libri: li scegli perché ti piacciono e pensi che possano piacere a un buon numero di persone, ma finché non arrivano in libreria non sai se la scommessa era vincente»
6 – Come per il lettore di professione, così per l’editor c’è il rischio di diventare negli anni sempre più esigente e giudicare uno scritto con più severità. Riesci a ovviare questo “inconveniente”?
«Dopo aver letto migliaia di manoscritti, o decine di migliaia, e aver visto tante volte ripetuti gli stessi cliché, gli stessi errori, il rischio è duplice.
Da una parte, l’assuefazione alla medietà, che ti può portare a non riconoscere più con lucidità ciò che se ne discosta.
Dall’altra, come dici tu, la severità: tutto ti sembra uguale, niente è mai abbastanza.
Per evitare questi pericoli, e il cinismo che ne consegue, credo che la pratica migliore sia continuare a leggere sempre la buona letteratura e sconfinare continuamente in territori nuovi, così da non perdere mai la percezione che si possano scrivere tante cose in infiniti modi»
7 – Negli ultimi tempi, soprattutto negli States e negli UK si parla di un nuovo modo di leggere, rileggere e scrivere i libri e di una professione: il sensitivity reader, un editor che s’incarica di passare al setaccio i testi alla ricerca di parole e contenuti offensivi. È “ un’isteria di massa” come ha detto Ian McEwan oppure una fase necessaria
«Io credo che nelle case editrici italiane ci siano tante persone di buon senso capaci di trovare un equilibrio tra il rispetto per i lettori, la cui sensibilità va naturalmente tenuta in grande considerazione ma non ai limiti del servilismo, e l’isteria che in tanti contesti sociali sta rischiando di mettere seriamente a rischio la libertà d’espressione»
8 – L’inesperienza può giocare un brutto scherzo, anche all’idea più originale e vincente.
Quali sono gli errori più comuni che possono rovinare un buon testo?
«Un errore molto comune è senz’altro l’infiocchettamento: quando uno cerca di rendere difficile una cosa che non lo è, per darsi un tono, ma perde in spontaneità ed efficacia.
Un altro è l’ansia di mettere in bella vista tutti gli elementi necessari al lettore per farsi un’idea della storia o dei personaggi, togliendo profondità e interesse.
Un altro ancora, forse il più frequente, è copiare i modelli dominanti senza declinarli in maniera originale. Ma l’elenco sarebbe infinito»
9 – Quali sono gli ingredienti essenziali per una buona storia?
«Non credo esista una risposta univoca a questa domanda, non ci sono ricette, non ce ne sono di valide per tutti i lettori.
Ti dico cosa cerco io nei manoscritti che leggo: qualcosa che mi stupisca o che allarghi i confini della mia conoscenza»
10 – Parliamo di questa avventura che si chiama “Ariston La scatola magica di Sanremo” di Walter Vacchino e Luca Ammirati, che ti ha visto protagonista come editor e moderatore di una delle presentazioni più “sentite” dal pubblico sanremese e non solo.
«Quella dell’Ariston è una grande storia italiana, che comincia con un uomo, un imprenditore, un sognatore, Aristide Vacchino, che alla fine della seconda guerra, con le macerie dei bombardamenti ancora fumanti, decide di costruire un cinema-teatro senza precedenti per quell’epoca: un multisala con una galleria commerciale, in pieno centro a Sanremo.
Ci mette dieci anni a realizzarlo, i problemi tecnici e burocratici sono tanti, ma quando lo inaugura nel 1963 il mondo intero si rende conto che è un gioiello.
Poi nel 1977 arriva il Festival, teoricamente in via provvisoria, per un solo anno, e il mito diventa doppio. Prima e dopo quel momento c’è tanta vita, c’è tanto lavoro, e sono felice che Walter Vacchino, figlio di Aristide, e Luca Ammirati abbiano dato voce alla “scatola magica”: è una storia che nessuno aveva mai raccontato ma che in qualche misura appartiene a tutti gli italiani»
11 – Durante la presentazione abbiamo assistito alla visione di un cortometraggio che ripercorreva le tappe fondamentali della storia dell’Ariston. Da brividi. Che effetto fa sapere di aver contribuito alla realizzazione di un libro che vive di vita propria e c’è una storia su cui hai lavorato che ti ha dato le stesse emozioni?
«È stato un onore, prima di tutto. L’Ariston è un tempio in cui risuona l’eco delle migliaia di artisti che si sono esibiti su quel palco, ma anche delle autorità che si sono sedute in platea. Al loro cospetto è facile sentirsi piccoli.
Il compito di dare una forma editoriale – necessariamente sintetica – a questa grande storia è stato reso semplice dalla generosità non solo dei due autori (anche Luca lavora all’Ariston, come responsabile della sala stampa) ma dell’intera famiglia Vacchino e dei loro collaboratori.
C’è un senso di famiglia, dentro quelle mura»
12 – Quali consigli daresti a un autore in erba che cerca di pubblicare il suo primo lavoro?
«Di non pensare troppo alla pubblicazione, agli aspetti sociali della scrittura.
Concentrarsi sulla pagina e su di sé.
Di fare qualcosa di sincero, al meglio delle proprie possibilità.»
13 – Oltre ai testi che devi leggere per lavoro, quali sono i titoli sul comodino? C’è un autore che secondo te merita di essere scoperto o riscoperto?
«Ultimamente sul mio comodino c’è tanta saggistica, soprattutto biografie, o narrativa ibrida, chiamiamola così.
L’autore da riscoprire eternamente è Stephen King, perché ogni volta ti regala qualcosa di nuovo»
Grazie mille per la disponibilità Stefano 🙂