Slow Horses
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Slow Horses: Mick Herron, Apple Tv+ e la felice trasposizione di una saga letteraria – Prima parte

Slow Horses

È alla Casa nella palude che finiscono le spie cadute in disgrazia. Un vero e proprio pantano dove chi ha fallito viene esiliato ad attendere la fine di una carriera ormai deragliata.

Sono cavalli azzoppati, disadattati che nel corso del proprio lavoro hanno ceduto a droghe, alcol, sesso, o alla politica, e che per qualche ragione hanno tradito la loro missione.

Confinati fra le pareti ammuffite di un edificio fatiscente, in stanze ingiallite “a forza di fiato stantio e tabacco, vapori di zuppa di noodles e cappotti lasciati ad asciugarsi sui termosifoni”, questi scarti dei servizi segreti sono condannati a un lavoro marginale da innocui passacarte agli ordini di Jackson Lamb. Eppure ciascuno di loro resta, a conti fatti, un agente altamente qualificato. E se c’è una cosa che tutti hanno in comune, è la voglia di tornare in azione.

Apple TV+ ha l’indubbio merito di investire in progetti originali, cercando di privilegiare la qualità delle proprie produzioni rispetto alla quantità (anche se questo non sempre riesce, come insegna Dark Matter). Per questo, forse, non è ancora riuscita a ritagliarsi una fetta di pubblico che le permetta di competere con i veri giganti del settore, Netflix e Prime su tutti.

Eppure, chiunque abbia avuto l’occasione di vederla non può che convenire sul fatto che Slow Horses sia la migliore serie di spionaggio degli ultimi decenni.

Il merito dell’unanime successo di critica (e di pubblico, se si considerano solo gli abbonati alla piattaforma) è sicuramente da attribuirsi alla produzione di alto livello e a una formula essenziale che vede, per ogni stagione un unico regista e solo 6 episodi di massimo 53 minuti oltre, ovviamente, a un cast sempre azzeccatissimo.

Senza voler far torto a nessuno non si possono non citare le performances di Kristin Scott Thomas nei panni della algida Diana Taverner, di un Jonathan Pryce perfetto nei panni di un David Cartwright ormai senile, della Catherine Standish interpretata da Saskia Reeves e di Jack Lowde, bravissimo nel rappresentare un River Cartwright metà agente speciale pronto all’azione e metà bravo ragazzo troppo ingenuo ( e forse anche frescone) per un mondo di spie.

Alla guida di una selezione di attori sontuosa, un Gary Oldman in stato di grazia, che ha dichiarato di voler chiudere la sua carriera al termine della saga.

Cosa che potrebbe anche accadere dato che, anche se la produzione procede girando due stagioni contemporaneamente per ridurre tempi e costi, la saga letteraria è ormai avviata verso i nove volumi, senza contare tutto lo Spin Off dedicato a John Bachelor di cui parliamo più avanti.

Ma l’altra e forse più importante ragione del successo della serie Slow Horses è senza dubbio da ricercare nella scrittura.

La trama, i personaggi e le ambientazioni, infatti, sono eccezionali e non è un caso che non nascano come sceneggiature, le cui logiche sono ormai dettate da algoritmi che uccidono ogni creatività, ma da un universo letterario originale che ho deciso di andare ad esplorare più a fondo.

Mick Herron, l’autore dietro le gesta di Jackson Lamb salutato in patria come il nuovo John Le Carre, è uno scrittore britannico che ha esordito nel 2003 con Down Cemetery Road, il primo di quattro romanzi con protagonista Zoë Boehm, una detective privata di Oxford.

Dopo la conclusione di questa quadrilogia nel 2009, ha cominciato la saga dedicata agli Slow Horses che, tra romanzi e racconti lunghi (quelli che gli anglosassoni chiamano novella), è ormai indirizzata verso i 15 titoli, di cui solo 4 attualmente editi in Italia. Per gli altri presumo si dovrà attendere la trasposizione televisiva.

Per questo motivo, Kindle alla mano, mi sono avventato sulle edizioni originali per regalarvi una visione di insieme su quanto potrete aspettarvi in futuro, se decidete di attendere i tempi di Apple e Feltrinelli, o anche subito, se maneggiate a sufficienza la lingua inglese.

Slow Horses - il cast - ilRecensore.it

Prima di entrare nel dettaglio dei singoli volumi e stagioni, però, è importante dare una visione generale sull’universo in cui si muove il protagonista assoluto, Jackson Lamb, e la sua squadra di reietti.

Slow Horses è un gioco di parole che nasce dalla assonanza tra i ronzini del titolo (o brocchi, come in alcune traduzioni) e l’appellativo che, all’interno del MI5, viene dato all’ufficio di Aldersgate Street in cui gli stessi cavalli lenti si trovano confinati: Slough House, letteralmente “casa del pantano” (la pronuncia inglese dei due termini è simile).

Slough House, Il Pantano, nell’universo creato da Mick Herron è un distaccamento del MI5 a cui vengono destinati quegli agenti di cui, per un motivo o per l’altro, i Servizi vogliono liberarsi senza rischiare cause legali o conflitti con le HR.

A chi approda a Slough House vengono affidati compiti estenuanti, ripetitivi, noiosi e, soprattutto, inutili: verificare i dati dei prestiti delle biblioteche di tutto il regno unito, controllare le multe non pagate dagli archivi pre-digitali degli anni novanta, cercare quelle abitazioni il cui affitto, pur non avendo consumi di utenze, viene regolarmente pagato ed ogni altro tipo di verifica che, nella mente di un burocrate, possa indicare il sospetto di attività terroristiche ma le cui probabilità di rivelarsi utili non superino in nessun caso lo zero.

Ed in effetti, coerentemente con le premesse, non sono mai i risultati delle attività cui sono assegnati a coinvolgere direttamente i cavalli lenti nelle trame dei romanzi che Herron dedica loro.

Slough House ha un solo scopo: spingere i suoi occupanti a rassegnare le dimissioni e tutto, dalle mura ammuffite allo squallore degli arredi è pensato per raggiungere un risultato perseguito e puntualmente sottolineato dal comandante di questo luogo non di espiazione ma di oblio: Jackson Lamb.

Slow Horses - Gary Oldman - ilRecensore.it

Lamb è un ex “Joe”, un agente sul campo che ha trascorso la parte migliore della propria vita al di là del muro di Berlino, quando la Guerra era Fredda e gli agenti segreti somigliavano comunque più al George Smiley di Le Carre che al James Bond di Fleming, e non si può pensare ad un caso se l’attore scelto per interpretarlo sul piccolo schermo, Gary Oldman, sia lo stesso che ha prestato il volto a Smiley nella versione cinematografica di La Talpa, forse il più famoso romanzo con protagonista la spia creata da John Le Carre.

Ma se durante gli anni Ottanta Lamb doveva aver rappresentato il meglio che i servizi segreti di sua Maestà britannica potessero produrre per combattere una guerra di informazioni oltre la cortina di ferro, quello che incontriamo nella saga di Slow Horses è un uomo obeso, trasandato, dedito all’alcol, al fumo, al sarcasmo, alle flatulenze e alla volgarità gratuita.

Sempre attento a nascondere la propria intelligenza dietro una cortina fumogena di tabacco, sporcizia e disinteresse, Jackson Lamb tortura e umilia costantemente i propri sottoposti, che considera per ciò che sono: cavalli lenti, ronzini.

Occorre un evento esterno perché Lamb possa marcare, fin dal primo romanzo della serie, quello che è un limite invalicabile. Gli Slow Horses sono brocchi, sì. Ma sono i suoi, brocchi. E nessuno può toccarli, a parte lui.

Se Slough House è l’epicentro dell’azione che si svolge nei romanzi, il protagonista delle novelle che li intercalano e che a volte pongono le premesse per accadimenti futuri è invece John Bachelor. Bachelor è un funzionario part-time dei servizi segreti il cui unico compito è accudire ex asset stranieri rifugiati nel Regno Unito.

Divorziato, demansionato, disilluso, senza più una casa e col vizio dell’alcol, John è quello che nei servizi chiamano un milkman, un lattaio, dato che il suo lavoro si risolve nel periodico giro di visite in cui è chiamato a verificare la salute dei suoi assistiti, raccoglierne le lamentele ed accertarsi che non parlino del loro passato coi vicini di casa. O almeno, non del passato per il quale i servizi pagano loro affitto, bollette e pensione.

Quello di Herron è in definitiva un universo di perdenti: ex agenti, ex teste di cuoio, ex funzionari, ex impiegati.

Un plotone di aspiranti eroi incapaci di mantenere le loro stesse aspettative. Persone comuni nella cui vita, a un certo punto, è successo qualcosa che ha deragliato la loro corsa fuori dai binari previsti e che si trovano costretti a ricostruirsi una identità diversa da quella che avevano immaginato.

Dall’altra parte del campo, invece, stanno i giochi di potere condotti da chi è arrivato in cima alla piramide senza mai curarsi di quante vite ha dovuto scagliare di sotto per arrivarci.

Che si tratti di faccendieri, consiglieri, politici o alti funzionari dei servizi segreti sono loro che, nel perseguire i propri interessi, si trovano a turbare, consapevolmente o meno, l’universo ripetitivamente immobile del Pantano.

D’altronde è ovvio che, per chi siede tanto in alto, i cavalli lenti appaiano irrilevanti, poco più di una macchia di caffè su un progetto di demolizione. Eppure si tratta di un errore di valutazione che nell’avanzare della serie sembra sempre più difficile da giustificare, perché se è vero che i ronzini di Lamb sono irrilevanti, questo non significa che siano anche inoffensivi. O che dietro la maschera di sporco e volgarità di Lamb non ci sia la stessa spia sopravvissuta per anni in territorio ostile.

Quello di Slow Horses è un universo dalle trame complicate ma dalla morale netta.

La mano appare quella di un autore Working Class che, pur restando all’interno di un genere che vive del confronto tra poteri opposti, assume il punto di vista ordinario di chi conduce una vita ai margini e non sembra nutrire alcuna fascinazione verso ricchezza e potere.

Slow Horses - Kristin Scott Thomas - ilRecensore.it

Così quando, nell’ultimo romanzo della saga, Diana Taverner accusa Lamb di covare risentimento per non essere stato messo a suo tempo nella posizione di vertice alla cui conquista lei ha dedicato una vita di intrighi e complotti, la proiezione che opera è evidente

Lamb è un agente sul campo che è stato tradito in molti modi diversi e sembra perfettamente consapevole di come la pace cui aspira possa arrivargli solo dalla distanza dal potere, una distanza che il Pantano dovrebbe garantirgli. Per questo la sua morale è semplice e inflessibile: non si lascia mai solo un agente sul campo. Che sia suo o no, appare secondario.

La saga ideata da Herron brilla per la scorrevolezza, per lo stile asciutto ed efficace, per le trame complesse, per i personaggi azzeccati e per l’umorismo tipicamente british che ne permea ogni pagina.

Herron si permette anche di osare, confidando nella intelligenza dei propri lettori sia per sfidare costantemente le scempiaggini del politicamente corretto (con buona pace dell’Algoritmo tanto efficacemente ritratto nella quarta stagione di Boris), sia per contravvenire alle leggi non scritte delle saghe di successo sacrificando spesso i propri personaggi.

Nelle brevi sinossi che seguono non farò spoiler di sorta ma siate avvertiti del fatto che, Lamb a parte, nessuno dei ronzini sembra mai essere davvero al sicuro.

Altra piccola nota: per quanto ossessivo riesca ad essere, quando mi ci metto, mi sono però concentrato sulle storie del canone ma in altri romanzi non legati alla serie, come Reconstruction (2008), Nobody Walks (2015) e The Secret Hours (2023), Herron ha utilizzato alcuni personaggi della saga principale, fornendo approfondimenti sul loro passato. Anche se so già che mi dedicherò con piacere a integrare queste letture, in questa occasione mi sono fermato qui.

Non mi resta quindi che darvi appuntamento alla prossima settimana per la seconda parte di questo speciale, in cui vedremo in dettaglio tutti i romanzi (e le stagioni) dedicate ai ronzini di Jackson Lamb!

Autore

  • Giovanni

    Scrittore, fotografo, Service Manager in una delle principali Software House italiane, è stato cofondatore del Blog Thrillerlife ed è socio fondatore della associazione culturale IlRecensore.it e della omonima rivista online.

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