Buongiorno a Massimo Carlotto e benvenuto tra le pagine de ilRecensore.it, la rivista letteraria che non ha ancora imparato quando deve star zitta.
Prima di ogni altra cosa vogliamo ringraziarti per aver accettato di rispondere alle nostre domande per quello che è il primo numero di questa nuova avventura editoriale.
1 – Abbiamo cominciato a lavorare a questo progetto pochi giorni prima di ricevere il tuo invito per gli Stati generali dell’immaginazione e dopo essere venuti a Bologna e aver ascoltato i vari interventi abbiamo colto in questo una straordinaria coincidenza di intenti. ilRecensore.it nasce infatti con l’ambizione di superare, come prima cosa, la formula tipica da cui prende il nome e di dare voce a tutti gli attori della filiera editoriale al di là di quello che è il momento promozionale. È stata quindi una emozione, per noi, trovare tanti punti comuni con l’iniziativa tua e di Patrick Fogli. Ti va di raccontarci di cosa si tratta e di come evolverà il vostro progetto?
L’assenza di spazi dedicati al dibattito sulla letteratura e sulla cultura. La restrizione degli spazi sui media. I festival come luogo dedicato alla sola promozione delle novità. I social come luogo totalizzante ma tossico di dibattiti che in realtà non sono tali.
Tutto questo e molto altro ci hanno indotto a riflettere sulla necessità di costruire un percorso in grado di consentire un confronto pacato, sereno, sui contenuti che sono stati abbandonati.
Come primo tema abbiamo scelto l’immaginazione che per fortuna e giustamente è stato contaminato da altri temi.
Noi vogliamo tornare a riunirci, guardarci in faccia, condividere contributi teorici.
2 – Il tuo intervento è stato una ventata di aria fresca e una occasione di riflessione profonda. Parlando di Crime racconti una dimensione in cui la rappresentazione della realtà è totalmente distorta, perdendo quindi interesse presso chi vive una quotidianità distante e inevitabilmente trova la letteratura, il cinema e la televisione come luoghi che non lo rappresentano, che non lo includono. Questa distanza tra la realtà e la sua rappresentazione non è analoga alla distanza tra elettorato e politica, tra i cittadini e le istituzioni che dovrebbero rappresentarli? Dove si arriva da qui, e come si inverte una tendenza di questo tipo?
La cultura oggi, nel suo complesso, serve a costruire consenso in una società che obbliga gli intellettuali e gli artisti a forme di autocensura.
Non è vero che la libertà è assoluta e garantita.
Il problema, come sempre, è ripartire dal basso, cercando forme diverse e autonome in grado di incidere sul presente.
Una pratica della “bellezza” che si sviluppi all’interno dell’industria culturale e rappresenti il nuovo nel senso più ampio del termine.
3 – Restando al genere, vediamo un mondo di eccezionali commissari di provincia tormentati ma onesti, amanti della cucina e capaci di risolvere ogni crimine, rigorosamente riconducibile ad un colpevole unico, vero capro espiatorio la cui eliminazione restituisce l’equilibrio perduto. Un universo parallelo in cui la polizia non pesta i ragazzini, non tortura, non ignora le procedure e non è mai collusa con la criminalità. Un mondo in cui i periti sono competenti, i consulenti hanno capacità quasi divinatorie ma, soprattutto, un mondo senza i grandi intrecci legati al capitale e ai suoi interessi leciti e illeciti. In definitiva un mondo che cinquant’anni fa avremmo chiamato borghese, in cui il dramma è rappresentato dalla separazione o dall’orientamento sessuale dei figli. Di cosa parla il romanzo che vorresti leggere?
Della realtà.
Intendiamoci: quello che oggi esprime il genere e in cui non mi riconosco ha tutti i diritti di continuare con quel tipo di produzione.
Una larga fascia di lettori lo apprezza.
La questione è un’altra e cioè che bisogna rifarsi alla storia del genere per vedere come le tendenze siano sempre state superate da altri tipi di concezione, nati e cresciuti all’interno di mondi editoriali che sembravano sordi a ogni innovazione e poi le hanno dovute accettare.
Tornando alla domanda sul romanzo che vorrei leggere rispondo che ci sono tre grandi temi sociali su cui il punto di vista del genere sarebbe importante sia come analisi che come narrazione: lavoro, ambiente, patriarcato.
Conflitto quindi, la pacificazione non mi interessa perché riflette quello che leggiamo oggi.
Il genere, in tutte le sue forme, deve essere perturbante.
4 – Tutti cerchiamo il nuovo ma, dall’altra parte, c’è tutta una industria innamorata dell’idea della Formula: Hollywood propina da anni gli stessi film al grido di “More of the same”, quando non veri e propri remake. Qualsiasi film o libro abbia successo la formula viene clonata e ripetuta all’infinito, finendo inevitabilmente per deludere le aspettative e riportare quel particolare genere ad un momentaneo oblio, in cui finalmente può essere libero di reinventarsi. Secondo te il Crime è davvero vicino alla fine di un ciclo? Ed è possibile, se non ora per il futuro, combattere questa avversione dell’industria al rischio?
Il Crime, nelle sue varie forme, è già da molto tempo “industrializzato” nella produzione editoriale.
Il che non sarebbe stato negativo se avesse conservato la sua peculiarità di letteratura popolare, cioè molto diffusa e letta perché in grado di raccontare il presente.
È accaduto il contrario a causa delle politiche editoriali che a forza di inseguire modelli consolidati hanno determinato la rincorsa al clone.
E quando scrivi romanzi che si assomigliano i lettori li perdi e di conseguenza perdi tanti autori che non sono riusciti a superare le soglie di venduto pretese dalle case editrici.
5 – Fino a qualche anno fa la Cina non era considerata un paese sufficientemente creativo ed il governo ha deciso di sostenere economicamente la letteratura di fantascienza con l’idea che immaginare il futuro sia la premessa indispensabile per poterlo realizzare. Quanto conta la capacità di immaginare e come si può sostenere la letteratura in occidente senza ricorrere alle solite elargizioni all’editoria industriale?
Rispondo ancora con l’idea che l’unica soluzione è ripartire dal basso ma il problema posto dalla domanda riguarda soprattutto la lettura.
La fantascienza ormai è nicchia ma se scomparisse perderemmo un patrimonio inestimabile.
La consapevolezza che una parte di individui non considera più centrale la lettura nella propria esistenza ci deve far riflettere.
Se crediamo che l’oggetto libro sia fondamentale per la vita umana e il progresso, dobbiamo usare la letteratura come strumento di condivisione. Dobbiamo essere i primi a immaginare il futuro. Per questo affermo da tempo che è necessario aprire le porte del genere ai giovani, abbiamo bisogno di giovani autori, abbiamo bisogno del loro punto di vista. Invece da tempo la maggior parte dei manoscritti che mi passano per le mani sono il frutto del lavoro e della passione di fasce di età più avanzate e il fenomeno di questi tempi riguarda i pensionati che scoprono la scrittura. Va benissimo anche questo, ma spazio ai giovani.
6 – In una realtà occidentale che dai primi anni Novanta sperimenta un vero “Crime Drop” peraltro mai rappresentato nei media, la letteratura ha trasformato i serial killer in esseri soprannaturali al pari di vampiri e lupi mannari, agenti che non necessitano di motivazioni o di approfondimenti e che si differenziano l’uno dall’altro solo per il grado di efferatezza e di sadismo, in una competizione voyeuristica per accaparrarsi il lettore. Personalmente lo trovo un po’ troppo comodo e anche molto noioso. Qual è il tuo pensiero a riguardo?
Penso che personalmente non mi interessano ma anche che queste visioni del genere rientrano nella dimensione consolatoria che di fatto dagli anni cinquanta dell’Ottocento continua a essere la preferita dei lettori.
E quindi ben venga.
Il problema è un altro e cioè che per salvare il genere e non lasciarlo morire bisogna riconquistare i lettori che l’hanno abbandonato e quelli che non si sono mai avvicinati con altri tipi di proposte narrative.
Una pluralità di proposte nella speranza che l’editoria cambi politica e non si fossilizzi su quelle che hanno dati maggiori risultati sul piano delle vendite.
7 – Come sai ti abbiamo chiesto, per questa nostra avventura, una sorta di benedizione laica, un augurio che ci impegneremo a realizzare. Possiamo chiederti qual è?
Innanzi tutto grazie per l’impegno, per aver sentito l’esigenza di contribuire al dibattito con uno strumento così necessario.
Il mio augurio molto sincero è di mantenere la giusta distanza e cioè di avere sempre ben chiaro che la materia che trattate è delicata e importante.
8 – Infine chiudiamo con due inviti che rivolgeremo a tutti. Il primo: Dicci tre libri che secondo te tutti dovrebbero leggere e un autore da scoprire o riscoprire.
Chiedo scusa ma non rispondo più da tempo a questa domanda perché cambio idea continuamente.
La lettura mi fa questo effetto, più leggo e più conosco nuovi autori, alcuni li considero maestri. A volte l’infatuazione dura una settimana, poi ne scopro un altro.
9 – Leggendo On Writing di Raymond Carver mi ha colpito molto una sua citazione di Isak Dinesen. Diceva che lei, ogni giorno, scriveva qualcosa, senza speranza e senza disperazione. È una frase incisiva e spiazzante perché di solito la speranza ha un valore positivo e mi ha fatto tornare in mente una famosa intervista a Monicelli in cui la chiama una trappola e anche Rudyard Kipling che in If chiama impostori il successo e il fallimento. Il secondo invito è quindi questo: Lasciaci con un pensiero che senza cadere nelle trappole della speranza o della disperazione ci aiuti a mettere in fila i nostri passi anche domani.
Nessuna trappola. Né speranza, né disperazione. Un mio caro amico che la sapeva lunga ripeteva un pezzetto di una filastrocca popolare: guardo la luna, guardo le stelle, vedo Caino che fa le frittelle…