Maria Giudice di maia Rosa Cutrufelli - neri pozza - ilRecensore.it
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Maria Giudice di Maria Rosa Cutrufelli

Maria Giudice

Maestra, sindacalista, dirigente di partito, pacifista, militante antifascista, giornalista, appassionata lettrice. Nella personalità indomita di Maria Giudice – ingiustamente nota oggi solo per essere stata la madre intransigente di Goliarda Sapienza – convivono molte anime e altrettante passioni, e a tutte si è dedicata mostrando fin da giovanissima uno spirito eclettico e in anticipo sul suo tempo.

Nata nella campagna lombarda nel 1880, Maria apprende dal padre l’importanza morale dell’azione politica e dalla madre la forza straordinaria della parola scritta, due forme di pensiero e di vita che in lei saranno sempre radicate e inestricabili.

Maria non si fa mai scoraggiare, in anni in cui anche solo per imparare a leggere e scrivere occorre una forza di volontà straordinaria per una bambina: fin da subito è chiara in lei l’idea della cultura come strada verso l’emancipazione, via di fuga dalla subalternità cui sono costrette le donne dall’inizio dei tempi. 

Attraverso istantanee folgoranti della sua storia – gli articoli per il voto alle donne, sulla condizione delle filatrici e delle bambine impiegate nelle fornaci, l’incitamento allo sciopero contro la Grande Guerra dal balcone della Camera del Lavoro di Torino, l’esilio in Svizzera, il carcere, la maternità – Maria Rosa Cutrufelli cattura il passato per restituirci un’interpretazione del presente e, come in un gioco di specchi, ci racconta di un secolo breve ma infinito. E della battaglia di una donna che è tutte le donne che prima e dopo di lei hanno lottato per affermare il proprio diritto a esistere.

Maria Giudice di Maria Rosa Cutrufelli è uno di quei libri da leggere lentamente, riflettendo, paragrafo per paragrafo, per ritrovarsi nella vita di una donna vissuta nella prima metà del Novecento.

La Cutrufelli, attraverso alcune foto, percorre la vita straordinaria di una donna, tra rivoluzioni industriali, cambiamenti geopolitici, due Guerre Mondiali ed epidemie, con il coraggio e la forza che solo certe donne sanno trovare.

Leggendo la biografia ho compreso molto anche sui sentimenti della figlia, Goliarda Sapienza, del suo amore e della sua passione per questa donna. Ho compreso la lotta di una donna contro i pregiudizi, primi i suoi, per essere libera e poi degli altri. Spesso ha fallito, ma il fallimento fa parte della vita, non vi è lotta e conquista senza fallimento

Lo studio: Maria Giudice studiò tanto per avere un ruolo diverso da quello che l’Italia di quell’epoca imponeva alle donne.

Sul finire dell’800, alle donne fu permesso di studiare per diventare maestre. M. G. si impegnò a fondo per poter ottenere quella laurea in un periodo non facile per una donna, con tanti sacrifici. Lo studio l’accompagnò per tutta la vita. Era una donna curiosa e comprese come la letteratura dei classici fosse importante per aprire la mente ed essere preparati a tutto.

Scrive la Cutrufelli: «Pure per noi la cultura è stata la prima forma di emancipazione o, se preferite, una via di fuga per la subalternità. Ma evadere non è mai facile…». Goliarda Sapienza, da piccola, osservando la madre, con i capelli bianchi, studiare, si incuriosiva tanto. Gli occhi di una bambina non comprendevano perché continuasse a studiare, chiusa in una camera, nella casa di via Pistone. La madre le diceva sempre che «Ognuno di noi ha dei limiti, ma se si ha volontà…». La volontà di lottare, di andare avanti, di conoscere.

Quando frequenta l’università Maria Giudice incontra i suoi primi “compagni” e inizia a scrivere perché «la matita nelle giornate di sommossa è forte, più forte dei cannoni a tiro rapido» anche perché «leggere e discutere è pur sempre studio. Non ancora azione politica. E tanto meno rivolta».

Goliarda con il padre

Il gentil sesso: Maria Giudice comprende presto, vivendo in un mondo dove la politica è ancora un affare da uomini, che, pur essendo “i compagni” persone aperte, non amano confrontarsi con le donne.

Quando il suo primo compagno morirà in guerra ella, agli occhi della società, non sarà una donna con sette figli da sfamare che ha subito un lutto. Maria è in carcere (ci finirà spesso per aver fatto propaganda, per aver indotto la folla alla rivolta, per aver scritto frasi contro il governo), soffre ma con dignità.

Esce dal carcere e riprende il suo lavoro di socialista e attivista. Il popolo e le donne hanno bisogno di lei. Anche in Sicilia, soprattutto in Sicilia, troverà un ambiente ostile alle donne. Significativa è la scena in cui, una volta arrivate a Roma, quando Goliarda inizierà a frequentare l’Accademia d’Arte Drammatica, Maria le darà le chiavi di casa, affermando che da quel momento era libera. In Lettera aperta Goliarda racconta di quella volta in cui, ragazzina, aveva stretto le mani a un ragazzo solo perché erano fredde e della reazione esagerata del padre perché, e lei lo doveva comprendere, vivevano in Sicilia.

Femminista: uno degli errori più comuni è classificare Maria Giudice come una femminista. A Maria questo appellativo non piaceva. Lei non si sentiva femminista. Lottava per le donne, con le donne, ma lei era per tutto il popolo. Lei va “verso il popolo”.

Quando si trova in esilio in Svizzera (incinta della prima bambina, Josina) incontra Angelica Balabanoff. Con ella inizierà una grande amicizia e una collaborazione intellettuale e lavorativa. Entrambe salgono sui palchi per aprire le menti delle persone. Entrambe odieranno la parola “femminista” poiché il femminismo non nasce dal malcontento di una classe, ma “dal malumore di un sesso”. Loro non combattono contro le femministe «ma sorridiamo di fronte alle loro buone intenzioni… che puzzano di filantropia lontano un miglio».

L’amore e la contraddizione: Maria non si sposò mai. Per lei l’amore era qualcosa di così grande che un contratto tra due persone era riduttivo e quasi volgare.

Essere libera le permetteva di viaggiare per l’Italia per il suo lavoro di socialista, ma comportò anche alcuni problemi. Quando nel ’31 era già in Sicilia, provò a fare una domandina per insegnare ma le fu negato, oltre per il suo attivismo, anche a causa della sua “condotta morale”: era pur sempre una donna che viveva il suo legame libero e che aveva messo al mondo ben dieci bambini (di cui due morti piccolissimi) fuori dal matrimonio.

Ma è l’amore per i figli quello che colpisce lo studioso della Giudice, colpisce chi legge la sua biografia e ha colpito anche la Cutrufelli.

Maria Giudice con i figli
Maria Giudice con i figli

La donna libera che non vuole sposarsi ma vivere in libera unione, sforna tantissimi bambini, proprio come una popolana, una donnetta (termine che utilizzerà spesso con Goliarda). Perché? È qualcosa che la fa sentire viva, donna? È un modo per tenere traccia di sé stessa; forse che questa donna dallo sguardo duro, ha bisogno di dare vita e amore? O, semplicemente, la maternità le piace tanto?

In una foto di Maria Giudice ci sono tutti e sette questi bimbi. Josita, Josè, Licia, Cosetta, Ivanoe, Danilo e Olga. Guardo questa vecchissima foto, ormai rovinata, guardo questi bambini, lo sguardo stralunato del piccolo Danilo, quello quasi serio, da posa da donna di Josita e Licia, il sorriso del piccolo Ivanoe. Non sempre questi bambini stavano insieme, erano sparsi per l’Italia del Nord. Si riuniranno quasi tutti in Sicilia.

Ma Maria è destinata a un altro amore, quello per un siciliano dallo sguardo arabo, il sorriso ironico, amante del bello e del teatro. Giuseppe Sapienza, detto Peppino, conosciuto da tutti come l’Avvocato dei poveri.

L’Isola: quando Maria Giudice approda per la prima volta in Sicilia, l’Isola sembra amarla. È calda come calda è la gente che l’accoglie.

La situazione delle donne è più dura di quella delle donne del nord. Molta arretratezza, molta ignoranza. La gente lavora in condizioni pessime. E poi c’è quella cosa lì, quella cosa di cui non si poteva far nome. Quella cosa di cui è morto il figlio maggiore di Peppino, Goliardo. Amava il mare Goliardo, amava andare alla Plaia e nuotare. E un giorno i pescatori, quei pescatori molto legati all’avvocato Sapienza, lo trovarono morto. Quella cosa è la Mafia che negli anni Venti, si trasformerà in altro.

Durante un comizio sulla solidarietà a Lentini la situazione precipita. Mentre la Giudice è ancora sul palco a parlare, qualcuno inizia a sparare. È un parapiglia, quattro i morti. Non si troverà mai il colpevole ma, la istigatrice la si trova subito, è lei, è Maria: se non fosse salita sul palco a parlare, tutto quello non sarebbe accaduto. Sette mesi di carcere e, quando esce, il suo piccolo Danilo sta male e muore qualche giorno dopo.

Maria ormai è sorvegliata speciale, non può muoversi con la libertà che vorrebbe. Legge, studia e crea coperte. Può – ancora – scrivere sul giornale l’Unione. La famiglia è grandissima: due sono i figli di Peppino e cinque (ancora) i suoi. Girano per varie case nel centro storico per poi fermarsi in via Pistone.

I ragazzini sono tutti insieme e crescono come fratelli (quasi sempre come si legge nella già citata Lettera aperta di Goliarda Sapienza). Immagino questi ragazzini abituati al nord vivere in una città del sud, una città come Catania, con i suoi palazzi barocchi, le pasticcerie, il cibo da strada, i profumi e i teatri. Immagino soprattutto il bambino che nella foto fa la linguaccia, il piccolo Ivanoe che ormai è un ragazzo che ama l’arte e la letteratura e, soprattutto, la filosofia. Indugio su Ivanoe non solo per simpatia personale, non solo perché era uno tra i fratelli più cari a Goliarda, non solo perché in quella foto con la madre, mostra simpaticamente la lingua.

Ivanoe è importante per la letteratura italiana contemporanea. E di lui si sa pochissimo. Maria Giudice era nuovamente incinta e, forse, anche questa volta, il suo seno non avrebbe nutrito nessun neonato.

Ivanoe, allora quindicenne, riuscì a procurare, dalla Svizzera, del latte artificiale. Allattò personalmente quella neonata e riuscì a salvarla da morte certa. Goliarda si vanterà sempre del fatto di essere stata allattata da un uomo. E grazie a quel ragazzo che noi abbiamo L’arte della Gioia, Lettera Aperta, Io, Jean Gabin, L’Università di Rebibbia e tanti altri titoli.

Ma l’Isola, così bella e magica, diventerà un nuovo carcere per Maria, costretta dal fascismo a non poter più esprimere le sue opinioni, costretta a non poter scrivere più (le copie dell’Unione divennero illegali e lei stessa li murò prima che la polizia politica entrasse in casa alla ricerca del giornale).

Maria Giudice - Goliarda Sapienza e l'Avvocato

Maria vive in un carcere pieno di sole, luce, e profumo di gelsomino, così come appare nella foto con l’Avvocato e una piccola Goliarda. Sono nel terrazzo della loro casa in Via Pistone, la protagonista della foto sembra proprio questa piccola bambina col suo vestito a pois. Il padre, come sempre, è sorridente.

Maria no, non la vedo felice (non lo è): è una donna dinamica, di azione, che non ha paura di dire quel che ritiene giusto anche se andrà contro al pensiero dei suoi compagni.

Adesso non può dire neppure ciò che pensa dei nemici. E il nemico è sempre lui, quel Benito Mussolini che sta cercando di zittire tutti. Lei e Peppino continueranno a essere osservati speciali. Pian piano, quella famiglia si trasforma, cambia, arrivano altri elementi, generati da un altro rapporto. Maria non sembra esserne gelosa, accetta il tradimento pur essendo una donna fedele. Lei che riteneva che il contratto di matrimonio fosse volgare, accetta le scappatelle di Giuseppe. Ivanoe va via perché non trova lavoro, e poi Goliarda vince una borsa di studio: Goliarda e Maria sono sul treno, si allontanano dall’Isola, Maria lo capisce, adesso è la volta della figlia di spiccare il volo. Quella è l’opportunità per la sua bambina di aprire le ali.

Il sorriso: Dopo la guerra tutto sembra tornare normale, non per Maria che comincia ad avere problemi alla memoria e, come aveva predetto Anna Kuliscioff, impazzirà (ma lo sospettava anche Ivanoe che chiederà della madre a Goliarda e, venendo a sapere del suo attacco, chiederà «Di pazzia? Era prevedibile»).

Peppino muore, nel modo migliore, come penserà Goliarda, tra le braccia di una ballerina. Maria morirà qualche anno dopo curata e coccolata come una bambina dalla sua bambina, la figlia più piccola. Maria che aveva partorito dieci figli e Goliarda che, a causa di una piccola malformazione all’utero, oggi facilmente curabile, non potrà diventare madre.

La Giudice non rideva quasi mai, Peppino sì, alle volte forse tanto, ma Maria rideva pochissimo. Lei, che per alcuni era considerata intelligente più di un uomo, come se l’intelligenza fosse prerogativa degli uomini e non delle donne. Ridere, agli occhi degli uomini, sarebbe stato un segno di frivolezza, debolezza. Il sorriso lo si fa per ammaliare, per ammiccare, per affascinare. Maria non aveva bisogno di questo, perché non doveva convincere con il sorriso, ma con i ragionamenti.

Maria aveva compreso che il sorriso può far perdere credibilità.

Maria Rosa Cutrufelli. Nata a Messina, cresciuta fra la Sicilia e Firenze, ha studiato a Bologna e ha scelto di vivere a Roma. Ha fondato e diretto per dodici anni “Tuttestorie”, rivista di “racconti, letture, trame di donne”.

Ha curato alcune antologie di racconti e ha scritto radiodrammi per la Radio-Televisione italiana, fra cui Lontano da casa pubblicato dalla Rai-Eri (1997). 

Nel 1984 ha ideato e organizzato a Roma la prima fiera del libro a firma femminile; in seguito ha organizzato e tenuto laboratori di scrittura creativa.

Impegnata nel movimento femminista, già a partire dai primi anni Settanta scrive diversi testi sull’emancipazione delle donne e un’inchiesta sulla domanda di prostituzione e pornografia.

Con La briganta (1990) inizia a scrivere romanzi, specialmente romanzi storici, come La donna che visse per un sogno (2004), finalista al Premio Strega, ha narrato la storia degli ultimi quattro mesi di vita di Olympe de Gouges, femminista ante litteram all’epoca della Rivoluzione francese.

Con D’amore e d’odio (2008) ha raccontato invece il Novecento, attraverso sette vite di donne legate tra loro da vicende familiari e scegliendo una struttura costruita su monologhi di personaggi minori che raccontano le protagoniste delle differenti storie. 

I bambini della Ginestra (2012) è ambientato nella nativa Sicilia.

Ne Il giudice delle donne (2016) dieci maestre, capeggiate da Luisa la moglie del sindaco socialista, accolgono l’appello di Maria Montessori a chiedere il diritto al voto anche per le donne: un romanzo in cui si respira il desiderio del futuro che vorremmo.

Nel 2020 pubblica il romanzo L’isola delle madri, una riflessione necessaria sui cambiamenti che il mutamento climatico e le biotecnologie riproduttive provocano nella società.

Pubblica il romanzo storico Maria Giudice, un approfondimento sulla importante socialista attiva all’inizio del ‘900, madre di Goliarda Sapienza.

È co-fondatrice dei “Quaderni del Centro di documentazione internazionale Alma Sabatini“, edito da Iacobelli Editore con il primo numero uscito nel 2021.

Autore

  • Samanta Giambarresi

    Siciliana con la predilezione per gli scrittori siciliani. Ho scoperto la passione per la lettura quando mia sorella mi ha letto la novella La Giara di Pirandello. I libri sono mondi da scoprire, dove una storia bellissima, segreta, si svela pagina dopo pagina. Ho iniziato a scrivere recensioni nel 2006 per una rivista letteraria. Ho collaborato con varie riviste letterarie e case editrici. Scrivo e leggo ascoltando musica. Adoro accompagnare la lettura con bevande calde (che spesso si raffreddano mentre sono immersa nella lettura!)

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