L’ultima cosa bella sulla faccia della terra, Michael Bible
Sinossi
Mentre tutti sono raccolti in preghiera, dall’ultima fila Iggy avanza verso il centro della chiesa. Trema, e la benzina che ha portato con sé per darsi fuoco – come quei bonzi che ha visto in rete – si rovescia. Il fiammifero acceso gli cade di mano.
Nel rogo muoiono venticinque fedeli. Diciotto anni più tardi gli abitanti di Harmony, una cittadina del Sud degli Stati Uniti, ancora si portano dentro quel lutto, ancora – come un antico coro – si interrogano e commentano l’accaduto. La loro versione si alterna a quella di altre figure direttamente coinvolte o appena sfiorate dalla tragedia, mentre su tutto si impone, ipnotico e straziante, il racconto del colpevole, rinchiuso nel braccio della morte.
Ora che l’esecuzione si avvicina, a Iggy resta solo il rifugio nel sogno – o nel ricordo – di un’altra vita, di mille altre vite. Da dove è scaturita quella decisione estrema e inconsulta? Che cosa gli ha sconvolto la mente? Gli antidolorifici che sniffava, l’alcol e l’eroina? L’amore «selvaggio, cosmico e strano» per Cleo, o quello per Paul, l’amico scomparso «come un temporale che passa sopra la campagna e si dilegua in un batter d’occhio»? O piuttosto quel dolore segreto, quel tedio insopportabile, quello sgomento di fronte a un universo infettato da un oscuro morbo di cui solo loro tre sembravano avere consapevolezza?
Recensione
L’ultima cosa bella sulla faccia della terra è un’opera che già dal titolo si presta alla poesia.
Fermandoci un istante e chiedendo a noi stessi cosa potrebbe mai essere l’ultima cosa bella sulla faccia della terra, cosa immaginiamo?
Forse un amore in cui non si credeva più? Un’amicizia inaspettata? Un gesto inatteso? Potremmo forse rispecchiarci in un fiore, scoprire una vicinanza assurda, un legame unico e indescrivibile. “Assurdo” potrebbe essere una buona chiave per immergersi in questa vicenda all’apparenza senza risposta. E in effetti richiama una certa letteratura che da Kierkegaard a Camus, soprattutto di quest’ultimo, Lo straniero, ha fatto emergere temi prettamente umani.
Michael Bible, giovane autore statunitense che esordisce sugli scaffali delle librerie italiane nella tonalità pastello Adelphi, è una voce che si pone fuori dal coro per originalità nella scrittura e per la profondità dentro cui ci accompagna.
La storia si svolge in un arco temporale che copre poco più di quattordici anni: inizia nel 2005 e si conclude nel 2019, ma la storia ci conduce avanti e indietro nel tempo, accentuando così il senso disorientante del racconto.
Il lettore si trova subito in medias res, in un contesto che vede alcuni cittadini di Harmony, polverosa cittadina del profondo sud statunitense, indagare nella vita di Iggy, figura determinante del romanzo, per capire e provare a immaginare cosa possa averlo portato a mettere in atto un gesto folle, che cambierà il corso della sua vita e dell’intera cittadina.
Harmony è una città come tante, ha al suo interno una miriade di personaggi: dai santi, ai peccatori, ognuno teso a sopravvivere al vuoto della propria esistenza.
In una continua alternanza temporale, il racconto – L’ultima cosa bella sulla faccia della terra – si sviluppa in un flusso di coscienza corale che mette al centro le varie voci: da Iggy, che nel capitolo 2006, ci palesa le sue ultime elucubrazioni, i suoi ultimi ricordi accompagnati da brevi accenni di speranza in un futuro che non gli appartiene più già da un pezzo, a Cleo conosciuta attraverso il racconto di Iggy e Farber, il bibliotecario della cittadina di Harmony, un tipo che si crea occasioni senza volerlo.
Giungiamo infine al 2019, il capitolo finale, in cui sembra non accadere nulla. Ma attenzione: Michael Bible è un narratore molto abile a muoversi all’interno del sentimento umano e delle emozioni. Il consiglio è di prestare molta attenzione a ciò che viene detto tra le righe.
Il suo è un linguaggio pulito e tagliente, scorrevole e riflessivo.
Pulito, perché non fa uso di termini astrusi, usando un linguaggio quotidiano, a volte scurrile ma non eccessivo.
Tagliente, perché i suoi personaggi non fanno troppi giri di parole quando non è il caso: se, per esempio, Iggy a un certo punto si sente un coglione, ammette però di non esserlo totalmente e di vestircisi solo da coglione.
È scorrevole anche quando si ferma sui dettagli, sui pensieri che accompagnano i personaggi poco prima di un’azione e soprattutto dopo, quando ormai non è più possibile modificare quanto appena fatto.
Riflessivo, potente, al punto di doversi piacevolmente fermare per rileggere quanto appena letto.
A tratti è poesia in prosa.
Anzi, in particolar modo viene a essere poetica la parte centrale di tutta la storia, quella dove meno si pensa di poter entrare in sintonia col personaggio.
Iggy è ormai a pochi istanti da quello che lui definisce essere un assassinio dello Stato. Ha commesso un atto ingiustificabile, quasi impossibile condividerne il pathos. Eppure. Eppure il capitolo Iggy è destinato a entrare e a turbare l’animo del lettore e della lettrice che certo dirà di non poter condividerne il gesto.
Sono pagine intrise di assurdo e di una consapevolezza che difficilmente ammetterremmo a noi stessi.
È un monologo polifonico che arricchisce quel vuoto che spesso incontriamo quando siamo presi da un pensiero al quale non riusciamo trovare la parola giusta che sappia dargli continuità. E ora possiamo respirare. È un esercizio utile, questo periodo lungo.
L’ultima cosa bella sulla faccia della terra è un’opera che si aggiunge alla lista dei libri che prima o poi rileggeremo. È una storia che lavora dentro, che ci porta a viaggiare per il mondo con un bagaglio interiore arricchito.
Affresco impudico di un angolo di umanità abbandonata alla sua ipocrisia, descritta con una prosa magmatica, ricca di un sottostrato falkneriano.
C’è tutto in queste pagine: sesso, droga, rivolta, senso di appartenenza, alterità, abbandono, morte.
Una consapevolezza che allevia il dolore:
«Credo che nell’universo esista una strana forma di magnetismo. Che avvicina fra loro le persone e poi le porta via da questa terra»
C’è la propria visione dei fatti «Volevo ruggire tra le fiamme»
La propria e personale redenzione:
«Imploro la misericordia che non merito. In ginocchio sul pavimento duro, prego un universo senza dio»
La sensazione di morte:
«La mia vita non finirà davvero a mezzanotte perché è già finita un milione di volte».
Ma eccolo il momento, ecco la vita arrendersi e il sogno tramontare:
«Mancano due minuti a mezzanotte. È arrivato il capitano Tom. È ora di andare. Per concludere voglio dire solo questo. Se c’è qualcosa che amate, tenetevelo stretto perché non si può mai sapere quando verranno a portarvelo via».
E non è questa la fine. Questo è l’inizio. È un dono che vorrete fare e fortunati saranno coloro che lo riceveranno.
Titolo: L’ultima cosa bella sulla faccia della terra
Autore: Michael Bible
Editore: Adelphi
Genere: Narrativa
Traduttore: Martina Testa
Autore
Michael Bible è un autore e libraio statunitense. Nato in North Carolina, ha scritto per l’Oxford American, The Paris Review Daily, Al-Jazeera America, ESPN The Magazine, e il New York Tyrant Magazine.
Nel 2023 Adelphi pubblica in Italia, L’ultima cosa bella sulla faccia della terra.