Le Case del malcontento di Sacha Naspini

Le case del malcontento

C’è un borgo millenario scavato nella roccia dell’entroterra maremmano, il suo nome è Le Case. Un paese morente. Una trappola di provincia. Un microcosmo di personaggi che si trascinano in un gorgo di giorni sempre uguali. Fino a quando la piccola comunità non viene sconvolta dall’arrivo di Samuele Radi, nato e cresciuto nel cuore del borgo vecchio e poi fuggito nel mondo.

Il suo ritorno a casa è l’innesco che dà vita a questo romanzo corale: la storia di un paese dove ognuno è dato in pasto al suo destino, con i suoi sprechi, le aspettative bruciate, le passioni, i giochi d’amore e di morte.

Perché a Le Case l’universo umano non fa sconti e si mostra con oscenità. Ogni personaggio lascia dietro di sé una scia di fatti e intenzioni, originando trame che si incrociano, si accavallano, si scontrano dopo tragitti capaci di coprire intere esistenze. A Le Case si covano segreti inimmaginabili, si ammazza, si disprezza, si perdono fortune, si tramano vendette, ci si raccomanda a Dio, si vendono figli, si vive di superstizioni, si torna per salvarsi, si tradisce, si ruba, ci si rifugia, si cerca una nuova vita, si gioisce per le disgrazie altrui. Talvolta, inaspettatamente, si ama.

Le Case del malcontento è un romanzo poderoso. Non tanto nella mole e neppure nella scrittura, che scorre agilmente con apparente semplicità. Lo è piuttosto nella rappresentazione di una provincia che si fa protagonista assoluta.

Uscito nel 2021, abbiamo deciso di recensirlo dopo aver incontrato Sacha, che ci ha concesso questa bella intervista, ed aver in seguito assistito alla riduzione teatrale del romanzo, che gli amici di Gufetto hanno recensito e che segue di qualche mese l’operazione di lettura andata in scena nella suggestiva cornice dell’ex monastero di Sant’Orsola di cui pure Gufetto ha fatto una recensione.

Ben prima di entrare nella narrazione dei personaggi che abitano il borgo maremmano di Le Case quel borgo, noi lettori, lo vediamo. Lo vediamo nel curvone che ne delimita il versante occidentale, nei picchi e nella torre che ne sono guardiani e carcerieri, nei muri delle case e delle botteghe che ne sono occhi, orecchie e cuore. Il Borgo non è la cornice della storia, è il reticolo beffardo di rocce e sangue che vive del malcoltento e in esso rimugina fino a distruggersi.

Gli abitanti, uno dopo l’altro, definiscono sè stessi raccontando di volta in volta un particolare evento da cui parte il nesso con quello del dirimpettaio o del compaseano più distante. Così le vedove, le zitelle, i nobili, i figli, le madri, i lavoratori e i nullafacenti diventano pezzi di un puzzle che si compone sotto gli occhi del lettore, che riesce a vederlo per intero solo un attimo prima del suo definitivo crollo. Sono i non eroi, respingenti, osceni eppure capaci di suscitare tenerezza per un destino crudele che non gli lascia scampo e che in qualche modo sentiamo accomunarci a ognuno di loro.

La scrittura di Naspini è limpida, attenta, misurata. La scelta del linguaggio evoca un dialetto cui l’autore non fa mai ricorso e che pure è lì, nella costruzione della frase, nella forma mentale del personaggio che la formula, nei concetti che esprime. Un lavoro di sintesi, astrazione e traduzione che l’autore ha saputo compiere senza che il lettore ne avverta il peso e che contribuisce a rendere Le Case del malcontento un romanzo universale.

La Maremma è terra che, dai canti popolari ai bar della costa, si fa bestemmia in bocca ai suoi abitanti. Una divinità feroce da Vecchio Testamento, un dio geloso che ama sopra ogni cosa affliggere il suo popolo.

In questo senso, Le Case del malcontento è un testo gnostico e l’unica via di uscita dall’universo che il malvagio Demiurgo ha creato per chi lo popola è l’Apocalisse finale, che l’uomo può solo tentare di anticipare coi mezzi di cui dispone.

Tra le pagine che descrivono Le Case non c’è spazio per il trascendente, i piedi dei suoi abitanti sono piantati nella roccia come le fondamenta del borgo. Non esiste giustizia che non sia una miseria uguale per tutti, non esiste riscatto che non sia fuga senza ritorno, non esiste amore senza che questo generi conseguenze mostruose, non esiste speranza che non sia frustrata e derisa dalla realtà implacabile della provincia.

La roccia de Le Case sembra fatta di materia oscura, la forza di gravità opera in questo luogo dell’anima in modo differente da quanto possa fare altrove, piegando tutto e tutti in pose mostruose. Le Case del malcontento è un folk horror senza neppure l’apparente allegria del folclore, un borgo in cui i mostri non infestano soltanto i cantinoni ma soprattuto i rapporti, straziati dal tempo e dalla rassegnazione in rappresentazioni grottesche di se stessi.

Le Case affonda i piedi nella roccia, dicevamo, ma questo pragmatismo disperato e disperante non offre ai suoi abitanti alcuna garanzia di stabilità e, anzi, più si rifugiano nella mera soddisfazione dei desideri più spiccioli e immediati, più si rendono strumenti della propria rovina.

Unico barlume di speranza, in un richiamo dal sapore autobiografico, è affidato allo sguardo di Piera che si fa ascolto, quindi parola e infine scrittura, autentica forza esterna cui aggrapparsi per sfuggire all’orizzonte degli eventi di un sole nero destinato a collassare su sé stesso. In questo si intuisce un patto Faustiano che, in una visione gnostica come quella con cui abbiamo descritto Le Case, rappresenta l’unico possibile contatto con il divino.

La forza oscura che domina Le Case non è solo la miseria secolare che la affligge. Anche quando affronta il tema della miniera, il potere appare talmente distante dalla realtà locale che qualsiasi confronto, per non dire rivendicazione, resta impensabile. L’ipotesi di un cambiamento possibile è inesistente, se non nella forma ultima di una maledizione che riguarda per primo chi la scaglia.

Persino baciata da una fortuna improvvisa, la provincia di Naspini, immaginaria eppure reale al punto da poterla sovrapporre a milioni di province identiche, soffoca in petto ogni aspirazione al bello e ogni velleità di riscatto. In questi borghi si nasce, si soffre e si muore tutti insieme e, come nei manicomi, due volte al giorno si fa la conta per esser certi che nessuno sia fuggito.

Leggi la nostra recensione di Errore 404!

Con tanti romanzi all’attivo (Villa del seminarioLe Case del malcontentoNivesOssigeno, Errore 404 altri ancora), Sacha Naspini (Grosseto, 1976) è ormai considerato uno degli autori italiani più originali e più letterariamente dotati della sua generazione. Tradotto in ventisei paesi, vincitore di numerosi premi, Naspini è uno scrittore poliedrico, che eccelle nella creazione di bellissime storie legate al territorio della Maremma così come nell’invenzione di mondi distopici e sorprendenti. Il suo stile di scrittura è unico: immaginifico e preciso al tempo stesso, inventivo, efficace.

Autore

  • Giovanni

    Scrittore, fotografo, Service Manager in una delle principali Software House italiane, è stato cofondatore del Blog Thrillerlife ed è socio fondatore della associazione culturale IlRecensore.it e della omonima rivista online.

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