La strada oltre il muro: gli esordi narrativi di S. Jackson
Sinossi
È una tipica strada dei sobborghi americani Pepper Street, abitata ancora – siamo nel 1936 – da una maggioranza Wasp che non si arrende all’arrivo degli invasori: cattolici, ebrei, cinesi. Gli uomini sono altrove, nella vicina San Francisco, assorbiti dal loro lavoro.
Tocca dunque soprattutto alle donne puntellare le barricate del conformismo: «Per quanto desideriamo trovare nuovi amici degni di stima, persone che ci entusiasmino per le loro idee nuove, o perché sono diverse, dobbiamo fare ciò che ci si aspetta da noi» afferma una di loro con infernale candore – e quando la figlia le chiede ottusamente che cosa ci si aspetta da lei, risponde: obbedire.
Di queste donne, murate vive nell’ostilità, impettite nella difesa del loro piccolo mondo, Shirley Jackson penetra, come solo lei sa fare, i pensieri e le abitudini; e penetra le case, decifrando il codice dell’arredamento e della cura del giardino. La facciata radiosa vela infatti l’orrore quotidiano e i cupi segreti che lo sorreggono: infedeltà, pregiudizi, malignità morbose, tensioni pronte a esplodere – e che puntualmente esploderanno.
Recensione
La solita Shirley Jackson? No, non la solita penna di cui tanto si sente parlare. O forse sì, lo è, ma ci convince del contrario. La strada oltre il muro è un invito, un suggerimento. Ci chiede di accompagnarla per approdare là dove la Jackson è diventata Shirley Jackson.
Pepper street è il tipico immaginario americano: una lunga strada che segue casa dopo casa e dove i vicini sono veramente vicini (potrebbe essere che affacciandoci dall’altra parte si ritrovi Ned Flanders e il suo salve salvino, amico vicino).
È il ’36 e in Spagna si combatte la guerra civile, L’Italia invece è impegnata nella campagna dell’Africa Orientale. Non c’entra molto tutto questo. Nel romanzo infatti nessuno sa e nessuno ci pensa, nessuno ne parla. Ma un pensiero scaturisce nel tentativo di catapultarsi in questa storia che si svolge in quegli anni, in un’America che affronta l’arrivo di persone di credo e di etnia diversa.
Le famiglie che ci vivono sono conservatori, sono elitari. Il parallelismo con ciò che accade in Europa e nelle vicinanze è lontano, è vero, ma qualcosa li accomuna: un’idea di confine.
Il muro divide: da una parte ci siamo noi, i buoni; dall’altra ci sono loro, i cattivi.
Ma torniamo più “terra terra”. Il muro per Shirley Jackson è certo un confine, ma si avvicina a qualcosa di più interiore, di più umano. Ci sono una superficie e una parte più profonda. Ecco, il muro divide queste due zone. Da questa parte ci sono le famiglie Desmond, Ransom-Jones, Roberts, Fielding, tutte residenti in Pepper Street a Cabrillo, una cittadina californiana. E dall’altra parte?
«Al di là vivevano i ricchi, su una lunga strada sinuosa da cui non si vedeva alcuna casa; al di là c’era un quartiere così esclusivo che le vie erano senza nome, le case senza numero. I proprietari del muro vivevano lì».
Al di qua la vita si svolge regolarmente, sembra non accadere nulla che abbia veramente un impatto così decisivo sulla comunità. Sembra.
Le donne di famiglia chiacchierano, si scambiano i pettegolezzi dell’ultimo minuto, sono attente a tutto ciò che accade, soprattutto alle loro figlie. Il desiderio delle giovani donne va sussurrato come un sogno che si teme possa venire rubato. Per gli uomini è tutto il contrario, il destino è lì che li attende e non hanno da temere nulla; è desiderabile e radioso, ne hanno per lo più cura i padri.
La storia si svolge al femminile, sono l’amicizia e soprattutto l’occhio della donna a vedere quei dettagli che ai più sfuggono: la malizia, la premura, la dolcezza, l’amore incondizionato e il segreto. E a proposito dei segreti, sorge spontanea una domanda: sono proprio loro a tenere in vita una coppia, una famiglia, un amore, dopo tanto tempo?
Di fatto, i personaggi della Jackson sono reali e le descrizioni che ne fa li rendono palpabili, vicini come se si trattassero di un ricordo, come se parlassero di un nostro conoscente. La loro consapevolezza, i loro desideri infranti, la possibilità di scegliere vissuta fino al punto di farci chiedere a noi “e ora? Cosa faccio?”. Tutto parla, tutto ha parola. Là dove i personaggi non ne spiccicano mezza, parlano gli oggetti per loro: e allora ecco un lurido comò fungere come da specchio; un tavolo bisunto permettere di fare colazione. Queste e altre cose mostrano che chi abbiamo davanti è molto più vulnerabile di quanto non sembri. E qui sta la maestria della Jackson, nel dire le cose senza dirle. A parlare sono i gesti, i movimenti, il contrasto che avviene tra i personaggi e le cose, tra i personaggi senza necessità di sguardi.
Una cosa che colpisce particolarmente, è l’evento kafkiano che a volte emerge. Ci sono alcuni personaggi, all’interno dell’opera, che rimangono completamente nascosti e sconosciuti. Questo però non consente a loro di non avere un impatto decisivo sulla storia. Alcuni eventi ricordano proprio Il castello di Franz Kafka: uomini e donne sconosciute decidono del destino di tutti; è un gioco delle parti in cui le pedine vivono la loro vita nel disinteresse più totale.
Con La strada oltre il muro, Shirley Jackson ci dona i primi assaggi di quello che sarà poi destinata a scrivere. Questo suo romanzo, uscito nel 1948, contiene già tutti quegli elementi che l’accompagneranno per sempre: tensione, panico, forte eccitazione, suspense, sorpresa.
Voto
😱
Titolo: La strada oltre il muro
Autrice: Shirley Jackson
Editore: Adelphi
Genere: Narrativa
Traduttore: Silvia Pareschi
Autrice
Shirley Jackson è stata una scrittrice e giornalista statunitense, nota soprattutto per L’incubo di Hill House del 1959 e La lotteria. Ha esordito scrivendo per il prestigioso «The New Yorker» nel 1948. Nella sua carriera ha scritto anche opere per bambini, come Nine Magic Wishes, e persino un adattamento teatrale di Hansel e Gretel, The Bad Children. Muore per infarto nel 1965, forse a causa della terapia a base di psicoformaci che stava seguendo.