La palude delle streghe di Jarka Kubsova
La palude delle streghe di Jarka Kubsova

La palude delle streghe di Jarka Kubsova

La palude delle streghe

Amburgo, oggi. Ochsenwerder, quartiere periferico a sud della città, somiglia al paradiso nell’estate in cui Britta Stoever lo visita per la prima volta: le erbe aromatiche spandono i loro profumi e i fiori occhieggiano dalle serre. Ma quando vi si trasferisce con la famiglia, mesi dopo, il paradiso sembra aver perso tutto il suo fascino: i campi vuoti e bui, le canne del fiume rinsecchite.

La solitudine in cui Britta si ritrova, la solitudine dell’argine e della nebbia, dell’Elba e delle gru dagli occhi gialli, la stringe in una morsa e fa eco a quella che sente nascere dentro di sé. Eppure, da ex geografa, Britta è abituata al silenzio del paesaggio in cui si celano le storie, e quando in una delle sue camminate si imbatte in un cartello che porta il nome di una donna, la sua curiosità si ridesta.

Quella che incontra, tuttavia, è una storia di invidie, di pregiudizi, di persecuzione. E di fuoco.

Amburgo, 1570. La terra lambita dall’Elba è una palude che solo il costante intervento dell’uomo riesce a contenere. Abelke Bleken, unica figlia di un ricco fattore, gestisce i suoi possedimenti con saggezza.

È bella, dicono alcuni. È arrogante, dicono altri: tutta quella terra è troppa per lei sola. E il giorno in cui, grazie all’attento ascolto della natura, Abelke prevede l’arrivo di una tremenda inondazione – che causerà danni incommensurabili – la voce che nel villaggio si diffonde su di lei è soltanto una: strega. Basta poco perché l’invidia e il desiderio rendano le accuse concrete, condannandola al processo, alla tortura, al rogo.

La Palude delle Streghe, una storia (monotona) tra passato e presente, si propone come un romanzo che mescola elementi di narrativa storica e sociale.

Attraverso le vicende di due donne, Britta, una ricercatrice che si trasferisce in campagna dopo la maternità, e Abelke, una contadina vissuta nel XVII secolo, l’autrice vorrebbe esplorare problematiche (non nuove) sulla condizione femminile. Il condizionale è d’obbligo. La vicenda rischia di scivolare in una narrazione stereotipata. Il parallelismo tra Britta e Abelke, sebbene interessante, risulta fin troppo didascalico e poco originale.

Il ritmo narrativo lento, a tratti noioso, rischia di penalizzare il romanzo – La palude delle streghe – che offre spunti interessanti.

La storia procede con gradualità, alternando le vicende di Britta, alle prese con le frustrazioni e i rimpianti legati al suo nuovo ruolo di madre e casalinga, a quelle di Abelke, donna forte e indipendente, proprietaria di una fattoria, che si ritrova vittima di invidie e condannata per stregoneria.

L’idea di intrecciare due storie così distanti nel tempo è stimolante, ma la scelta di non approfondire maggiormente le singole vicende o, quantomeno, di individuare un qualcosa dove focalizzare l’attenzione lascia un senso di incompletezza. L’autrice avrebbe potuto sviluppare due romanzi separati, dando risalto alle peculiarità di ogni epoca e personaggio. 

Intrigante, dal mio punto di vista, anche se argomento ampiamente trattato dal vasto panorama narrativo, risulta il contesto storico di La palude delle streghe e la storia di Abelke, che rievoca atmosfere cupe e superstiziose legate alla caccia alle streghe. In questo frangente si percepisce l’eco di autrici come K.M. Hargrave ed il suo magnifico libro Vardo dopo la tempesta, una vicenda vera, di donne ingiustamente accusate e condannate in un processo per stregoneria nel XVII sec.

Tuttavia, La Palude delle Streghe non riesce a raggiungere la stessa intensità e profondità emotiva dell’opera della Hargrave.

L’isolamento è il filo conduttore della narrazione, la solitudine vissuta dalle due donne, seppur in modo diverso.

Britte, trasferitasi in campagna (vicino ad Amburgo) dopo la maternità, vive l’isolamento per così dire imposto seppur consapevole. Le sue giornate si susseguono tra passeggiate e riflessioni sulla sua nuova condizione, alimentando un senso di frustrazione e rimpianto. Solo verso la fine del romanzo trova la forza di reagire, riscattando la sua figura da una iniziale passività.

“una casa con un giardino in una zona residenziale ai margini della città… e io rimango in una sorta di desolazione tutto il giorno e non posso fare a meno di riempirmi di pensieri, perché non ho distrazioni”

A così tanta depressione mi verrebbe da obiettare: 

“Cara, prova a fare qualcosa, magari smetti di passeggiare e prova a lavorare…”

Ho cercato di trovare punti in comune tra le due donne: non ce ne sono, eccetto il luogo.

Analizzando la figura di Britte in tutto il contesto narrativo di La palude delle streghe, la definirei come la donna cliché. Britte dimostra superficialità, ignoranza sul mondo femminile e la sua lunga, ancora non finita, storia.

Vorrei porre l’accento sulla persona e la personalità di Britte attraverso le sue azioni e dialoghi. Emergono tratti caratteristici a questo tipo di donne insoddisfatte, per le quali si parla di resilienza e trasformazione interiore, a mio avviso, impropriamente.

Britte, ex-donna in carriera. Questo stereotipo è spesso utilizzato per rappresentare una donna ambiziosa e indipendente, che però si trova a dover conciliare la sua carriera con i ruoli tradizionalmente femminili. Nel caso di Britte, la scelta di lasciare temporaneamente il lavoro per dedicarsi alla famiglia contraddice la sua immagine iniziale.

La sua incapacità di conciliare lavoro e famiglia è un cliché molto diffuso, sottolineando la difficoltà di conciliare i due ruoli.

Il marito assente: il coniuge molto impegnato è un altro stereotipo ricorrente nelle narrazioni che vedono protagoniste donne, spesso usato per sottolineare la solitudine e l’isolamento femminile.

La suocera cattiva: il rapporto conflittuale con la suocera è uno modello molto diffuso, che contribuisce a creare un’atmosfera di tensione e disagio.

L’amica del cuore: la presenza di un’amica del cuore, spesso contrapposta alla figura della suocera, come nel caso di Britte, serve a sottolineare l’importanza delle relazioni femminili e a fornire un punto di riferimento affettivo, Britte/Judith. 

Interessante è l’ambientazione.

Britte, donna cliché, si trova immersa in un ambiente altrettanto simbolico: la palude.

Questo elemento paesaggistico, oltre a creare un’atmosfera cupa e opprimente, potrebbe essere quasi un riflesso dello stato d’animo di Britte, insoddisfazione e inerzia, un disagio dal quale fatica a uscire.

La Kubsova confluisce tutti questi elementi in Britte, tratti comuni a questo genere di personaggi femminili in attesa di un riscatto personale. Tutto, però, dipende da come viene svolto il compito.

Per Abelke, invece, l’isolamento è una condizione IMPRESCINDIBILE E INELUTTABILE per epoca e condizione. Lei è una donna forte e combattiva, è una proprietaria terriera nel XVII secolo! La sua storia, ispirata a fatti realmente accaduti, rievoca uno dei periodi più bui per le donne, la caccia alle streghe. Abelke è una donna viva, l’opposto di Britte. La palude è vita per Abelke.

 Abelke emerge come figura stoica e volitiva, capace di affrontare le avversità con coraggio e determinazione.

Alternando le due narrazioni l’autrice potrebbe aver voluto creare anche un effetto di suspense, mantenendo alta l’attenzione del lettore e creando un senso di curiosità verso l’evolversi delle storie delle due donne.

Tuttavia, come già accennato in precedenza, la scelta di unire due storie così diverse, una delle quali scontata, rischia di penalizzare la memoria di Abelke. lasciando il lettore con un senso di incompletezza.

Ad un certo punto la narrazione di La palude delle streghe si fa più interessante, arriva Ruth, un faro illuminante nella palude di Britte. Ruth è una donna vera alla quale, però, viene dato poco spazio a favore della lagnosa Britte.

È una donna Ruth che conosce le donne, e conosce le loro storie, le ha raccolte in fascicolo con un titolo: le donne inascoltate. Ruth fa un dono prezioso a Britte, la conoscenza.

Le Donne Inascoltate è un termine generico che si riferisce a tutte quelle donne che, nel corso della storia, sono state marginalizzate, private di una voce e dei propri diritti. Sono le donne che non compaiono nei libri di storia, le artiste, le scienziate, le attiviste politiche e sociali che sono state oscurate o dimenticate.

“Perché “inascoltate”? Un punto a favore di Britte, che sembra svegliarsi ma, allo stesso tempo, dimostra tutta la sua ignoranza:

“sono tutte streghe?”

La banalizzazione!!!! Di tutte le donne che Ruth elenca la cara Britte non ne conosce nemmeno una! Anzi no, mi correggo, una la conosce, ha dato il nome ad una strada della cittadina dove vive: Abelke! Quando si dice la curiosità della donna cliché!

Perché dimenticate? E Ruth, il faro illuminante, lo spiega parlandoci di Elfriede. Dimenticate perché le società patriarcali hanno sistematicamente svalorizzato il contributo delle donne, per stereotipi di genere che relegano le donne a ruoli convenzionali, per mancanza di fonti molte delle opere e dei contributi delle donne sono andati perduti o sono stati attribuiti a uomini. 

Ruth ci fa conoscere queste donne per correggere la storia, per le generazioni future, per far conoscere le donne che hanno lottato per i nostri diritti.

La resilienza non può essere usata come cliché e non può, a mio avviso, essere avvicinata a Britte.

Ogni volta che una donna affronta una difficoltà, anche piccola, viene automaticamente catalogata come ‘forte’ e ‘resiliente’. Non tutte le donne sono uguali e non tutte le esperienze sono le stesse.

Ridurre la complessità dell’esperienza femminile a un unico tratto caratteriale è limitante e fuorviante.

Britte non è una ‘donna resiliente’ che deve affrontare la sua crescite interiore, è una lagna di donna, e la sua storia rischia di oscurare le sofferenze più profonde, quelle di Abelke, di Elfriede e delle donne inascoltate di Ruth.  Britte racconta, o cerca di raccontare, la storia di Abelke, ma Abelke è una donna che si racconta da sola, un ritratto vivido e complesso di una donna che ha osato sfidare le convenzioni della sua epoca.

L’autrice avrebbe dovuto focalizzarsi su Ruth, il faro della nuova palude, un personaggio carismatico e affascinante, una guida per le altre donne. 

La vera resilienza sono le donne inascoltate, un coro di sofferenze condivise e di speranze tenacemente agganciate alla vita.

Gaza, l’Afghanistan, le terre martoriate dalla mafia, le periferie dimenticate: scenari diversi, ma un unico denominatore comune: la condizione femminile, troppo spesso relegata ai margini, invisibile. Le donne povere, inavvertibili tra le pieghe della società, combattono ogni giorno per sfamare i propri figli e per un futuro migliore. E poi ci sono le donne sole, quelle che affrontano la vita con coraggio, ma che spesso si sentono abbandonate e incomprese.

Donne accomunate dalla loro forza che nasce dalla sofferenza, dalla resilienza, dalla capacità di rialzarsi dopo ogni caduta. Ma anche la loro fragilità, la loro paura, la loro voglia di essere ascoltate, di essere riconosciute come soggetti attivi e protagonisti delle proprie vite.

Ruth. 

Ne sarebbe uscito un bel libro.

Jarka Kubsova è nata nella Repubblica Ceca nel 1977 e vive in Germania dal 1987. Dopo aver studiato e svolto un tirocinio ad Amburgo, ha lavorato presso il Financial Times Deutschland, Stern e ZEIT.

È una ghostwriter e coautrice di numerosi libri di saggistica di successo. Per il suo romanzo d’esordio “Bergland” ha vissuto per sette mesi in una fattoria in Alto Adige.

Autore

  • Nico

    Socia fondatrice della rivista Il Recensore.it, LA NEMESI nella redazione di IlRecensore.it è un po' il cane sciolto. La parte cattiva e sarcastica, se vogliamo dirla tutta. Non tollera gli scopiazzatori letterari! Oltre ai libri, tra le sue passioni, ci sono i ferri circolari.

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