Il sussurro del diavolo
Sinossi
Dopo la morte della madre Keiko, il sedicenne Mamoru va a vivere a Tōkyō a casa degli zii. Quando finalmente inizia ad ambientarsi, però, lo zio investe una ragazza con il suo taxi e viene accusato di omicidio stradale. Qualcosa, però, a Mamoru non torna e decide di fare luce da solo sulla verità. Scopre così che la vittima, Sugano Yōko, nasconde ha un segreto insospettabile e, in realtà, è una delle vittime di una serie di omicidi mascherati da suicidi. Yōko infatti era coinvolta in una crudele truffa con altre tre giovani donne. Anche due delle quattro sono morte di recente in incidenti altrettanto violenti.
Quando fa la sua comparsa un testimone inaspettato, un potente uomo d’affari, diversi giorni dopo l’incidente, la situazione diventa ancora più complicata. Chi è davvero quest’uomo e perché sembra così disperato nel suo desiderio di aiutare Mamoru? La testimonianza dell’uomo non fa altro che aggiungere bugie e inganni più confusi a un caso già sconcertante. Chi è l’assassino e come uccide le sue vittime? Nel frattempo, Mamoru corre per salvare l’ultima delle quattro donne prese di mira dal vero assassino.
Recensione
Il sussurro del diavolo è un mix tra thriller e noir, in cui la ricerca della verità dietro morti catalogate come suicidi si fonde a un’analisi chirurgica della società di fine anni ’80 in una Tokyo popolare e molto umana.
A investigare, a squarciare il velo di ipocrisia e menzogne, è un sedicenne che si trova proiettato in una storia più grande di lui che lo condurrà a scavare dentro se stesso e a portare alla luce eventi del suo passato che erano rimasti nascosti in pezzi di vite altrui.
Kusaka Mamoru dopo essere rimasto orfano va vivere a Tokyo con gli zii, Asano Taizō e Yoriko e la cugina Maki. Con loro sperimenta per la prima volta una specie di normalità famigliare. La madre, Keiko, morta prematuramente gli appare ora misteriosa e a tratti sconosciuta, così legata al ricordo del passato e di un uomo, il marito Toshio, che è scomparso nel nulla dopo un’accusa infamante, quando lui aveva solo 4 anni. Un’accusa che ha portato lei e Mamoru a vivere a Hirakawa in una situazione di emarginazione sociale, di disprezzo e vilipendio costante. Come se la colpa di Toshio si fosse propagata a macchia d’olio inglobando senza riserve due innocenti come la moglie e il figlio vittime anch’esse di scelte scellerate.
Miyabe mette in campo uno dei temi portanti della storia: il pregiudizio, lo stigma sociale che si attacca alla pelle e all’anima di chi si ritrova coinvolto suo malgrado in una situazione negativa determinata da altri. Parliamo di una provincia, Hirakawa, negli anni’80 molto legata al passato, al modo di vivere più semplice e popolare, dove l’istruzione non è così presente e dove i valori del rispetto e dell’onore sono un’ossessione costante per quanto spesso inconscia.
Questo “marchio” Mamoru lo porta con sé nei sobborghi della classe operaia di Tokyo. Il bullismo scolastico per la sua situazione famigliare lo perseguita, questa volta per colpa di Miura e della sua banda, che non perdono l’occasione di ricordare che “cattivo sangue non mente”. Quando lo zio è coinvolto in un incidente mortale le cose si fanno più difficili. Perché il bullismo non è solo fisico ma spesso si rivale sul lato emotivo della vittima.
Un bullismo che, come si legge nelle pagine, è una malattia che gli studenti si passano dall’uno all’altro arrivando a toccare i professori più deboli, come se la legge dell’ereditarietà toccasse anche le pulsioni criminali e violente senza possibilità di redenzione.
“Ci hai azzeccato, Miura. Io sono il figlio di un assassino. Tu credi nell’ereditarietà no? Cattivo sangue non mente. Hai ragione, è così. La genetica esiste. Perciò non sottovalutarmi. Nelle mie vene scorre il sangue di un assassino. Sono il figlio di un assassino. Giusto?”
Non temete, non è spoiler anzi… È un passo che dimostra la furbizia e la scaltrezza di Mamoru, che in preda alla rabbia per fatti molto gravi, si vendica attraverso la sagacia. Il “mostro” si sconfigge giocando con i suoi punti deboli, esasperando fragilità e paure che lascia emergere nei suoi atti di prevaricazione. E questo mostra alcuni dei tratti saliente della personalità di Mamoru.
Il ragazzo è giovane ma non inesperto della vita. Nella sua breve esistenza ha dovuto confrontarsi con molti drammi famigliari e sociali. Ha visto come i bambini sono influenzati dai genitori nel pensiero e nel comportamento, ha potuto sperimentare come la vita sia fatta di scelte e come queste abbiano sempre delle conseguenze. Su questo si basano alcuni passaggi fondamentali del romanzo. Perché sono le scelte che facciamo a definire chi siamo, a farci rimanere nella luce o sprofondare nel lato oscuro.
Ma Mamoru ha anche incontrato persone buone, sincere, che lo hanno accolto per com’è senza giudizio e pregiudizio. Dal “nonno” che a Hirakawa lo “adotta” quando è solo un bambino. Un uomo anziano che gli insegna una professione molto peculiare che sarà utile al ragazzo per risolvere situazioni e investigare, una figura paterna quando un padre non sa più cosa sia, che gli regala preziosi insegnamenti di vita, come quello di non trovare mai scuse.
O figure positive come Takano, giovane manager della libreria dove lavora part-time. Il ragazzo è come un fratello maggiore, un amico con cui potersi confidare senza timore. L’uomo lo sa comprendere, ascoltare e non lo tratta come un dipendente. In molte occasioni dimostra grande fiducia in Mamoru e nel suo pensiero. Takano è la modernità e l’intraprendenza della nuova società giapponese.
Ma sono diverse le figure maschili che influenzano la vita di Mamoru. Oltre al padre che crea una mancanza incolmabile, una ferita che non sembra potersi rimarginare e dubbi sulla propria natura più intima, ci sono lo zio taxista Taizō che gli mostra il senso di famiglia e di integrità morale e lavorativa, ma soprattutto il ricco Yoshitake Kōichi e l’assassino.
Yoshitake sembra un uomo giusto, pronto a sacrificare la sua posizione lavorativa per salvare la famiglia Asano. Quando testimonia a favore di Taizō mostra al mondo di avere un’amante, una macchia nella sua vita irreprensibile che potrebbe costargli caro. Ma l’uomo nasconde molte ombre e bugie e sarà il protagonista di un plot twist inatteso quanto potente e di impatto su Mamoru perché lo porterà a mettere in discussione se stesso e ciò che crede giusto e soprattutto a scegliere chi vuole essere.
L’assassino, invece, in qualche modo per il ragazzo diventa una voce interiore e una guida. Lo porta a riflettere su questioni morali, su cosa è giusto e cosa no. Le sue motivazioni per uccidere e la sua condizione personale lo rendono un personaggio non totalmente oscuro. La bravura dell’autrice è stata quella di creare un personaggio negativo con cui si riesce a empatizzare, che stimola riflessioni importanti sulle conseguenze sociali di certi comportamenti: quelli delle fidanzate in affitto.
Non si può avvallare il suo agire, che si pone oltre la legge umana e celeste, ma si può comprendere ciò che lo muove, anche se di fondo c’è molto di più che la ricerca di una mera vendetta.
Attraverso questo personaggio, Miyabe, introduce temi interessanti e affascinanti: quello dell’ipnosi e del condizionamento umano che si lega a ciò che per altre vie succede anche al Laurel, il centro commerciale dove lavora Mamoru.
Qui lo scopo dell’autrice è quello di esasperare delle possibilità scientifiche facendole diventare anche irreali, per criticare l’avvento dei mass media e la società dei consumi nelle loro accezioni più negative, non a caso siamo in un enorme shopping center e spesso si pone l’accento sui soldi e sulle possibilità economiche delle persone, un aspetto sociale molto sentito.
L’essere umano diventa oggetto sperimentale nelle mani di individui che lo vedono come mezzo per raggiungere un fine, depersonalizzandolo e privandolo della sua dimensione umana. Sono i numeri a contare.
Miyabe è una grandissima narratrice del sociale, della fascia lavoratrice che conosce bene perché è quella da cui proviene. Per questo riesce a prendere temi molto vivi per la società giapponese e a renderli così facilmente comprensibili per i suoi lettori.
Anche i personaggi di Il sussurro del diavolo sono cesellati finemente, tutti reali e tangibili. È semplice mettersi nei loro panni, comprenderne emozioni e comportamenti, nel bene e nel male. Anche se a volte il lettore occidentale può sentirsi stranito perché si ritrova catapultato in una cultura diversa, con ritmi e convenzioni sociali altre.
Questo è un aspetto molto interessante del romanzo. La sua capacità di farci entrare con naturalezza in un mondo così lontano dal nostro. Un mondo distante ma per alcuni versi vicino, se pensiamo che certe problematiche sono universali, come il bullismo, la famiglia che qui è sempre centrale e fondamentale e la ricerca delle proprie radici e di se stessi.
Dalla lettura di Il sussurro del diavolo emerge la tendenza giapponese alla produttività e alla rispettabilità, che permea tutti gli strati sociali e riguarda tutte le età.
Un compagno di Mamoru ben rappresenta questo aspetto: si sente inetto perché non eccelle in nulla che non sia il disegno, si sente in colpa perché non sa reagire ai bulli che lo vessano. Si sente debole e in debito con Mamoru a causa di alcune cose che viene costretto a fare e vuole ripagare il debito in un modo impensabile per noi, qualcosa che possa ridargli “onore”. Perché questo è ciò che conta davvero.
Non possiamo sorvolare su altri due elementi fondamentali della storia: le fidanzate in affitto e il furto di identità che sembra endemico alla fascia più popolare del paese. Come se assumere un’altra identità sia normale e funzionale alla progressione della vita. Ma su questo non posso dirvi altro, se non che ci sono diversi archi narrativi che si reggono su questo aspetto e che portano realtà e bugia a perdere i loro contorni netti. La finzione a volte finisce per diventare una nuova realtà. Del resto anche le “fidanzate” si fingono ciò che non sono.
La voce “fidanzate in affitto” rimanda al mondo della truffa e riguarda le protagoniste femminili del romanzo. Ragazze bellissime e sensuali che fanno soldi solo basandosi su questo aspetto della loro identità. Katō Fumie, Mita Atsuko, Sugano Yōko e Takagi Kazuko che è un personaggio chiave e centrale molto ben costruito ma sempre sul filo del rasoio.
La loro presenza aleggia per tutta la storia. Il loro crimine è semplice: irretire giovani uomini soli e timidi e poi gettarli via dopo averli svenati e lasciati nei debiti.
Qualcosa di riprovevole per una cultura come quella nipponica. Un comportamento che innesca conseguenze funeste per qualcuna di loro e non solo. La donna non è più istanza positiva e accogliente. È il nemico, colei che disprezza i valori tradizionali. Ma ci sono anche figure femminili negative per motivazioni diverse e figure positive – come la giovane e dolcissima Anego amica di Mamoru, la buffa Maki e la materna Yoriko – che ristabiliscono gli equilibri, o come la madre stessa di Mamoru, Keiko, che rappresenta la fede nell’amore e nella giustizia anche se ciò la allontana dal figlio non in grado di comprenderla.
Le fidanzate in affitto non sono escort. Il loro è un comportamento moralmente subdolo e fraudolento, fatto con spregio e senso di superiorità dietro inutili scuse per ripulirsi la coscienza. Non conta nemmeno tanto la componente sessuale che spesso non è presente.
Del resto i protagonisti di questo romanzo sono personaggi che si muovono al confine tra bene e male. Sono tutti grigi e ricchi di sfumature. Non sempre ne sono consapevoli, a volte devono fare un grande lavoro di autoanalisi per comprendersi davvero, in altri casi rimangono fissi sulle proprie convinzioni, pensano di essere nel giusto o si creano una realtà alternativa e accettabile in cui vivere. Sono le comparse a schierarsi da un lato o dall’altro della barricata e a tendere delle corde di salvataggio.
La potenzialità del male e il ciclo vittima-carnefice rimandano alla cultura nipponica che conosciamo anche grazie al cinema. Tutto si può propagare e trasformare creando un loop infinito. Un’idea semplice ma sempre di grandissimo impatto emotivo.
“Il sussurro del diavolo” è un romanzo complesso e stratificato che ci porta a entrare “dentro” i personaggi e nelle loro vite. Non è un thriller adrenalinico o pieno di azione. Tutto procede secondo i propri ritmi e le proprie regole. Sono gli intrecci di vite e segreti a determinare lo svolgimento della storia.
Un romanzo affascinante, che scorre come un fiume tranquillo nel suo letto, pronto a rompere gli argini quando meno te lo aspetti.
Una lettura che consiglio davvero a tutti e non solo agli amanti di thriller e noir.
Bellissima la post fazione di Laura Solimando.
AUTRICE
Miyabe Miyuki nasce a Tōkyō nel 1960. Dopo aver frequentato un corso di scrittura della casa editrice Kōdansha, debutta nel 1987 con un racconto breve dal titolo Warera no rinjin wa hannin (Il colpevole è il nostro vicino), grazie al quale ottiene il premio letterario Suikyō per le migliori opere di genere giallo.
Fa il suo vero ingresso nel mondo letterario, però, nel 1992 con Kasha, con cui vince nel 1993 il premio letterario Yamamoto Shūgorō. Oltre al giallo, l’autrice si è cimentata in diversi generi letterari, tra cui fantascienza, romanzo storico e narrativa per ragazzi. In Italia sono stati pubblicati Il passato di Shoko (Fanucci, 2008) e ICO: Il castello delle nebbie (Kappalab, 2020).