I personaggi più cattivi hanno spesso un fascino magnetico. Le autorevoli firme de ilRecensore.it si sono divertite a proporne alcuni davvero terribili e a trovare loro il girone dantesco più adatto.
Buona orrorifica lettura lettori!
MARGARET – IL FASCINO DEL MALE. UN ABISSO OSCURO E SEDUCENTE
Nelle viscere dell’Inferno dove la luce è solo ricordo si arriva nell’VIII cerchio, le Malebolge.
In questo MALE Dante ci porta nel luogo abitato dai cattivi più Raffinati e Seducenti, il vero lato del male subdolo, scaltro e dotato di intelligenza.

Qui, tra i ruffiani e i seduttori, gli adulatori e i simoniaci, i falsari e i consiglieri fraudolenti, si aggira l’ombra di Margaret, la sposa. Un’anima complessa, un enigma avvolto in un velo di contraddizioni.
Margaret, la regina senza regno, è un mistero irrisolto, uno spirito che incarna la sottile linea che separa il bene dal male.
Margaret, la cui vita fu un intreccio di luci e ombre, un susseguirsi di scelte ambigue. I suoi peccati, non semplici trasgressioni, furono atti di una mente perversa che piegava il bene al male.
Chi la chiamava Maggie la sottovalutava, chi la chiamava Margaret ne intuiva l’abisso. Maggie era un nome, Margaret un destino, un riconoscimento! Margaret, lo spirito dell’inganno.
Il male esercita un’attrazione ambigua, ci affascina e, al tempo stesso, è paradossalmente magnetico.
Il male ci mette di fronte alla fragilità della nostra morale.
L’idea che i “cattivi” vadano all’inferno è un concetto radicato e arcaico. Tuttavia, è una realtà più complessa. Il male non è una categoria monolitica e oscura. Ha mille sfaccettature. C’è il male consapevole ma c’è anche il male che nasce dalla debolezza e dalla paura. C’è anche il male fatto a fin di bene! Il confine è labile, oltrepassarlo, a volte, è necessario.
Il male non possiamo negarlo.
A volte, la scelta del male può nascere da un’esigenza, chi sceglie il male potrebbe sentirsi più “vero”, quando si lascia andare alle proprie pulsioni oscure.
Le Malebolge rappresentano un’allegoria del male nella sua forma più subdola e insidiosa, il luogo dove “il fine giustifica i mezzi”
L’affermazione risuona come un’eco distorta nelle Malebolge, dove l’astuzia si contorce in forme di male apparentemente seducenti. Qui, tra le pieghe dell’inganno e della frode, si annidano coloro che hanno abbracciato la logica perversa del risultato a ogni costo.
L’illusione del bene attraverso il male.
Libera interpretazione de: IL MATRIMONIO di JASON REKULAK
By Nicoletta Tani
Lord Voldemort – Settimo cerchio, I violenti – Primo girone
Lord Voldemort è l’antagonista di Harry Potter, protagonista della saga omonima scritta da
J.K.Rowling. E’ quello che si può considerare un supercattivo: sadico, tirannico, inumano, alla
perenne ricerca del potere assoluto. Lord Voldemort è l’emblema di colui che è disposto a tutto
per arrivare al suo obiettivo.

Non ha pietà per nessuno, neanche per sè stesso, tant’è che arriva ad utilizzare metodi innominabili per accrescere la sua potenza. Per lui nessuno è al suo livello.
Ha degli adepti, i mangiamorte, che diffondono con la forza il suo delirio di onnipotenza, ma
neppure loro, che si considerano una casta superiore, sono al sicuro dalla sua furia nel
momento in cui deludono le sue aspettative.
Il suo gioco è quello di far credere alla gente che non si è tutti uguali, ma che la superiorità di alcuni è dovuta al sangue puro di chi discende direttamente da una stirpe di maghi, e non di chi si scopre tale anche in presenza di genitori non magici.
La lusinga insita in questa assoluta falsità fa breccia nella mente di chi si convince di
essere al di sopra degli altri e che giustifica la violenza e la sottomissione verso il resto della
popolazione. Voldemort è convinto che l’inumanità lo renda più forte, e non si capacita del fatto
che tutte le volte che si scontra con Harry, non ne esca vincitore.
La verità è che questo atteggiamento lo rende debole rispetto ad Harry, la cui empatia, generosità e solidarietà verso tutte le creature fa in modo che questo ragazzo, aiutato da tutti i suoi amici, possa combattere e sconfiggere il male assoluto. Vallo a spiegare ai potenti di oggi…
By Ambra Devoti
La seduzione della crudeltà
Sensualità, ossessione, attaccamento morboso e malattia mentale possono essere un mix esplosivo che rende un personaggio indimenticabile per quanto esecrabile e negativo. Lo sa bene Stella, la protagonista di Follia romanzo scritto da Patrick McGrath nel 1996.

Stella è emblema di una donna che divine schiava della sua fissazione per Edgar il suo amante. Una donna che si sente incastrata nel ruolo di moglie e di madre e sente le pressioni sociali dell’Inghilterra del 1959. Stella pian piano implode dentro se stessa per poi esplodere in un crescendo di avvenimenti che portano alla tragedia e alla follia.
Se devo pensare a un girone dantesco a cui associare questa protagonista direi che vado sul sicuro pensando al girone dei Lussuriosi di cui Dante ci parla nel V Canto. Stella è incatenata della sua ossessione fisica ed emotiva. La sua è una dipendenza che trova terreno fertile in una mente già fragile e in un matrimonio senza amore e senza vera affettività.
Anche la maternità diviene una condanna e la sua fine dolorosa diviene da un lato liberazione e dall’altro è l’inizio di una dissociazione dalla dimensione reale.
La relazione tra Stella e Edgar è morbosa su ogni piano.
La donna sembra bypassare il passato da uxoricida dell’uomo come se ponesse su un piano altro rispetto al morendo reale. Stella in qualche si lascia trascinare dalla sua malattia. La sua trasformazione fisica rispecchia il suo cambiamento psicologico e morale.
Stella non è cattiva ma è un personaggio fortemente negativo per molti aspetti che riguardano la sua storia e la sua rappresentazione ma nonostante questo riesce a esercitare il fascino del male in modo emblematico divenendo un personaggio indimenticabile e che in fondo suscita anche un moto di pietà nel lettore per il suo essere non solo carnefice ma anche vittima degli eventi.
Se non avete ancora letto Follia io non posso fare altro che consigliarvelo.
By Laura Gobbo
Terzo Cerchio: Che la festa cominci Niccolò Ammaniti.
Che la festa cominci non ha un personaggio che sembra impersonare un cattivo: è il romanzo stesso a essere un girone dell’inferno, il terzo girone, la gola!
La storia si concentra su questa grande festa che si svolge in villa Ada a Roma con tantissimi ospiti famosi tra cantanti, modelli e intellettuali, tra cui Fabrizio Ciba, famoso e sopravvalutato. Al suo arrivo un hater gli lancia un arancino – cominciamo bene.
Ma la festa, oltre ai vip ha anche tante attrazioni, animali di tutte le specie, un safari sponsorizzato da un famoso stilista, e lo chef stellato bulgaro Zóltan Patrovič, bislacco e misterioso, che ha il potere di manipolare il prossimo e, nel mio immaginario, aveva le sembianze di Rasputin.
Tutto sembra perfetto ma, alla festa, si intrufola una setta satanica con lo scopo di rapire e sacrificare una cantante famosa. Naturalmente si infiltrano tra gli addetti al catering. Mentre leggiamo di Ciba che sa di essere mediocre e vorrebbe scrivere il grande romanzo della sua vita ma non è capace e della setta un po’ maldestra accade qualcosa di strano.
Gli animali cominciano a ribellarsi – sono animali e prima o poi si ribellano alle stranezze dell’uomo.
Il panico si diffonde tra gli invitati e qualcuno rimane vittima della violenza di questi novelli Cerboro. Sembra proprio una scena apocalittica ma siamo solo all’inizio: il peggio deve ancora arrivare!
Dalle catacombe escono fuori degli esseri mutanti: sono di atleti sovietici e i loro discendenti che, durante le Olimpiadi di Roma, erano scappati al regime cercando la libertà. Escono per fare razzia e rapire alcuni invitati.
Tutto è surreale: il cibo status simbolo di eleganza e ricchezza viene distrutto nel vano tentativo di salvarsi. Patrovic, simbolo del cibo come arma di seduzione, nel vano tentativo di sottomettere il leader dei mutanti, viene ucciso; la setta si trova a dover decidere se lasciar vivere o sacrificare la cantante e lo scrittore si salva la vita e anche la sua carriera.
E la festa finisce!
By Samanta Giambarresi
Il patto con il diavolo di Peter Schlemihl
Scritto nel 1813 dallo scrittore tedesco di origine francese Adelbert Von Chamisso per intrattenere i bambini di un conoscente durante un periodo di isolamento in casa, “Storia straordinaria di Peter Schlemihl” è un racconto favolistico di poco meno di cento pagine, diventato ormai un classico.
Vi si racconta la storia di Peter Schlemihl, uno squattrinato che un giorno cede la sua ombra a un misterioso “uomo in grigio” in cambio di una borsa, inesauribile fonte di denaro.
Il baratto si rivela foriero di guai per l’incauto protagonista della storia, che da quel momento attraverserà un lungo percorso di emarginazione e di isolamento.

Perderà infatti rispettabilità sociale, servitori e persino la donna amata: chi avrebbe mai detto che la mancanza della propria ombra l’avrebbe trasformato in un reietto? Eppure, tra un momento di sconforto e un altro, Peter matura, si pente del suo gesto, si riconcilia infine con se stesso: “Poi, imparai a rispettare la necessità come un saggio principio d’ordine, che dispone e muove tutto il grande ingranaggio nel quale noi entriamo soltanto a cooperare, come ruote che spingono e a loro volta sono spinte”.
Grazie a questa nuova consapevolezza, il protagonista non cederà alle sempre più pressanti lusinghe del diavolo, che dall’inizio alla fine della storia si mostrerà invece un granitico e imperturbabile manipolatore
Se un insegnamento ci lascia questo libro è quello di tenersi cara la propria ombra: rappresenta le proprie parti più nascoste? Quelle di cui ci si vergogna? L’inconscio? Comunque si interpreti la metafora, non conviene cederla per un pugno di monete d’oro.
Peccato: avidità
Titolo: Storia straordinaria di Peter Schlemihl e altri scritti sul «doppio» e sul «male
Autore: Adelbert Von Chamisso
Editore: Garzanti
By Donatella Vassallo
L’imperador del doloroso regno
Il Male, si sa, può assumere le forme e i modi più differenti e disparati.
Nella cultura occidentale, per effetto della diffusione del cristianesimo, il Male per eccellenza si incarna nella figura di Lucifero, l’angelo caduto, origine e fonte di ogni genere di malvagità, che si configura come sua emanazione e derivazione.
Ce ne parla anche Dante, il quale, giunto alla fine del primo segmento del suo viaggio oltremondano, si trova faccia a faccia nientemeno che con il Re degli Inferi.
Il canto è il XXXIV (l’ultimo), il cerchio è il nono (l’ultimo) ed è costituito da un lago ghiacciato dal nome classicheggiante di Cocito.
Dalla superficie gelata di questo lago fuoriesce la parte superiore del corpo di Lucifero, conficcato al centro della Terra, punto in cui è stato scaraventato per punizione dopo essersi ribellato a Dio ed essere stato cacciato dal cielo (l’altra parte del suo corpo ‘penzola’ nell’emisfero sottostante, quello australe).
Di proporzioni enormi, più che gigantesche, avvolto dalla nebbia e dal vento, nei primi versi del canto Lucifero è paragonato a un mulino e a un “dificio” e poco dopo a una ‘maciulla’ (lo strumento con cui si macina il lino): l’angelo superbo, come contrappasso dell’audacia senza limiti che ha dimostrato pensando di potersi opporre e sostituire all’Onnipotente, si è trasformato in una sorta di meccanismo ripetitivo e robotico, che per l’eternità replica una sola azione, quella di infliggere un supplizio ai tre peccatori che tritura con le sue bocche (Giuda, il traditore per eccellenza; Bruto e Cassio, i Cesaricidi).
Ma come è fatto questo Lucifero dantesco?
Innanzi tutto, il Poeta ne registra la bruttezza, la quale non è altro che il corrispettivo esteriore della sua infinita malvagità.
Poi descrive le sue tre facce (una rossa, una gialla, una nera); le bocche, con le quali ‘mastica’ i tre peccatori di cui sopra; le sei ali viscide come quelle di un pipistrello, con le quali genera il vento che ghiaccia il Cocito; le lacrime che piange e che, miste a bava, colano sui rispettivi menti, offrendo uno spettacolo spaventoso e grottesco insieme.
E’ piuttosto evidente, dunque, che Lucifero rappresenta un rovesciamento caricaturale della Trinità.
Consapevole di essere nel punto più lontano dall’Empireo (sede di Dio e dei beati) e di guardare in faccia il Male fatto persona, Dante si rivolge ai lettori per far capire loro la sua incapacità di esprimersi (“ogni parlar sarebbe poco”, v. 24) e il terrore che lo rende contemporaneamente “gelato e fioco” (v.22), sospeso tra la vita e la morte (“io non morì e non rimasi vivo”, v. 25).
Tuttavia, prima di uscire “a riveder le stelle”, questo faccia a faccia è un passaggio obbligato: per Dante, che prima di risalire e di intraprendere il percorso verso l’alto che lo porterà fino al cielo, deve giungere nel luogo anche moralmente più infimo della Terra e più distante da Dio; e anche per i lettori, i quali sanno bene che, in qualunque situazione ci si trovi, prima di potersi risollevare, si ha bisogno di toccare il fondo.
By Edy – @libro.maniaca