IL CAMERIERE AZZURRO
Prende l’ordine al tavolo della porta a destra: porta il vino – mezzo litro rosso – al tavolo tondo. Porta l’ordine in cucina, lo legge a voce alta. Scandisce le sillabe una ad una.
Il cameriere è pallido, ha un colorito cinereo, tendente al verde. Sorride mentre legge ad alta voce la comanda. Anzi, ride proprio. Torna in sala e sparecchia un tavolo. Porta i piatti sporchi in cucina e annuncia che la comanda dei vini può marciare. Il tavolo dei vini è solo un nome convenzionale: c’è, di fianco, una scaffalatura dove stanno i vini di pregio.
D’un tratto si sente in sala una puzza di plastica bruciata: si accende un congelatore di una luce azzurrognola – le fiamme si sviluppano da dietro, dalla matassa di fili elettrici. Il cameriere sposta il congelatore per staccare le spine. E viene investito dalle fiamme azzurre.
E diventa anche lui azzurro, il cameriere azzurro.
Quando arriva l’ambulanza fa ancora in tempo a sussurrare: tre caffè al secondo a destra. Mentre l’ambulanza va via si vede distintamente una luce azzurrognola che si stacca verso il cielo, verso la luna.
Il primo cameriere azzurro che poserà il piede sulla superficie lunare lo farà il sei di agosto del duemilaventuno, all’una di notte.
UN COMMENTO
Perdonami l’invadenza: credo che anche prima di vedere ci sia altro. Intuire, forse: magari percepire. Contenere? Avverto la realtà, o quel che se ne dice – se ne benedice, se ne maledice. Annuso il vero, di ginepro, di alloro, di mirto e pepe nero: di salvia, di rosmarino e timo. Il vero è un soffritto a cuor leggero.
La guerriglia del cuoco.
Un soffritto a fuoco.
ORFENIO PUPIN
C'è quest'ora di fine pomeriggio, di cambio totale di stagione e lustro e decennio e addio all'Antropocene, coi ragni imbozzolati in fondo a cerchi concentrici di ragnatela ignifuga, che sostengono temperature miliardi di volte superiori a quattro e tre (undici), e quindi una cifra grossa, grande come le mutande di Giuliano Ferrara, nefasto, che nemmeno al catasto ce la fanno, e più non posso, e a parte l'osso, quell'orso pesa quanto un dosso dell'Etna. Ed Enna, Enea, Enio lo schiàpido Orfenio (Orfenio Pupin)
E basta qui, non c'è più niente da dire. Al massimo Puzzette. Puzzette. Puzzette. Puzzette.
CREPAPELLE
Il tizio non ha un solo dente in bocca, non uno. E ride beato, allarga la bocca in uno spettacolo indecente di gengive violacee e sangue, qua e là. Al collo porta una catenina d’argento con un molare di alabastro appeso che penzola e sbatte contro al petto nudo e villoso. E ride a crepapelle.