Vado in giro di notte, fa freddo, coperto di robe di lana, ascolto le cose degli altri – chiaro: le mie sono
Ascolto le cose degli altri, coperto di robe di lana, ascolto e non tengo niente, forse nemmeno ascolto – forse son vivo per sbaglio. Non è che mi manca una coltre, un attimo di continenza: ci sono, esisto, magari non per sempre, speriamo, però ci sono. Ascolto queste cose fantastiche che non dico. Mi manca – mi manca tutto. Mangio clementini e yogurt e miele e marmellata e scalogni in agrodolce. E amaretti sbriciolati. Mangio talvolta anche niente, e non me ne accorgo, e basta
grazie che ancora posso accendere la stufa
grazie
peso settantasette chilogrammi, ho cinquantotto anni compiuti
grazie
CAVALIERE
dove la sera si radunano centinaia
di centimetri inutili di fava
dove gli ormoni inzaccherano vetri e tappeti
dove la sera si sperpera
la cultura del pianeta a suon di
prende un Campari commendatore
gradisce un packistano coi baffi,
un’anafora?
DI NULLA
La casa ha dell'avvolgente, del calor bianco, dell'estasi della solitudine, di un paio d'ore a discutere, se sia meglio l'orizzonte o le previsioni del tempo, se in fondo all'imbuto ci sia di che mescolare le formule dell'ignoto, oppure scuoto le frèmule dell'intaìre,
a-bu-ker-que. Asindeto. O anche foriera di nulla.