Abbiamo sempre vissuto nel castello
SINOSSI
«A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce»: con questa dedica si apre L’incendiaria di Stephen King.
È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido.
Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo.
E quando in tanta armonia irrompe l’Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia.
Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i «brividi silenziosi e cumulativi» che – per usare le parole di un’ammiratrice, Dorothy Parker – abbiamo provato leggendo La lotteria.
Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male – un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai ‘cattivi’, ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.
RECENSIONE
“C’era una volta una casa diroccata nel bosco. Tutti i ragazzi del villaggio avevano paura di varcarne la soglia e di trovarci una vecchia strega. Ma come tutti i ragazzi curiosi e spavaldi, si divertivano a fare sfide di coraggio per provare chi era più coraggioso fra tutti loro…”
È solo una storia, un divertissement…o no?
Ma veniamo al romanzo Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson.
Abbiamo sempre vissuto nel castello – We Have Always Lived in the Castle – è un romanzo gotico di Shirley Jackson del 1962. Ultima opera dell’autrice, fu pubblicato con una dedica all’editore Pascal Covici, tre anni prima della morte della Jackson.
Da questo romanzo è stato poi tratto Mistero al castello Blackwood, film del 2018 diretto da Stacie Passon, con protagonisti Taissa Farmiga, Alexandra Daddario, Crispin Glover e Sebastian Stan.
Sapevate che “Così dolce, così innocente” è il titolo della prima edizione italiana di “Abbiamo sempre vissuto nel castello“?
“Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti”.
Questo l’incipit del romanzo – vogliamo parlare degli incipit di Shirley Jackson che creano sempre suspense e tensione?
Che splendido incipit! Già si respira l’atmosfera tipica jacksoniana che pervade il libro con quella frase finale che prospetta uno scenario inquietante.
Ma chi sono i Blackwood? Cos’è successo agli “altri membri della famiglia” che sono tutti morti? E come sono morti?
I protagonisti del romanzo sono due: Constance e Mary Katherine. No, anzi, sono tre: c’è anche la casa-castello…
Eh sì, perché nel romanzo Abbiamo sempre vissuto nel castello la casa è come se venisse antropomorfizzata, prende vita e ha una sua anima. D’altronde la Jackson ci ha abituato alle case ‘maledette’ – pensiamo al meraviglioso romanzo L’incubo di Hill House – che lasciano un senso di claustrofobia unito a un effetto di irrequietezza.
“Casa nostra era sempre stata abitata dai Blackwood, tutta gente molto ordinata; appena uno si sposava e la moglie faceva il suo ingresso in famiglia, si trovava subito un posto per gli effetti personali della nuova venuta; così i beni si erano accumulati uno strato sopra l’altro, gravando sulla casa e consolidandola contro il resto del mondo”.
Il resto del mondo, nello specifico, è il paese dove Mary Katherine, uscendo dal luogo protetto che è casa sua, si reca ogni martedì e venerdì – per lei giorni terribili “perché mi toccava andare in paese. Qualcuno doveva pur andare in biblioteca, e fare la spesa”.
In paese c’è il locale di Stella, dove Mary si ferma ogni volta per prendere un caffè – non perché lo desiderasse ma per evitare che Stella credesse che avesse paura, “un pensiero per me insopportabile”; c’è la biblioteca dove Mary sceglie i libri da portare a casa, e non restituire mai più; c’è il negozio di alimentari e l’emporio, fuori dal quale i maschi del paese si siedono per spettegolare; c’è, infine, Casa Rochester, la casa più bella del paese e dove era nata la madre di Constance e Mary.
Fuori dal paese, poi, in Hill Road, River Road e Old Mountain, ci sono “le belle ville nuove costruite da gente come i Clarke e i Carrington”.
Infine, “passato il municipio, sulla sinistra c’è Blackwood Road, la via che porta a casa nostra. La strada forma un ampio cerchio intorno ai terreni dei Blackwood e una recinzione di rete metallica costruita da mio padre la segue pet tutta la sua lunghezza. Poco oltre il municipio c’è il grande masso nero che segna l’inizio del sentiero. A quel punto apro il cancello, lo richiudo alle mie spalle, attraverso il bosco e arrivo a casa. Gli abitanti del paese ci hanno sempre odiati”.
Già da queste poche righe emerge una caratteristica della scrittura della Jackson. Sa tenere incollati i lettori alle pagine. Poi sa come scrivere storie intrise di inquietudine. Sa come far rimanere tutto sul filo del non detto.
Ma veniamo alle due protagoniste del romanzo, Constance e Mary Katherine.
Mary Katherine, detta Merricat, la voce narrante del romanzo, è un’eccentrica diciottenne che sogna di andare a vivere sulla luna e si diverte a nascondere oggetti per tutto il bosco.
“Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto, vieni.
Fossi matta, sorellina, se ci vengo m’avveleni.
Merricat, disse Connie, non è ora di dormire?
In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire!”
C’è Constance, divorata dal senso di colpa, ha deciso di isolarsi dal resto del mondo dopo essere stata assolta dall’accusa di omicidio per avvelenamento del resto dei membri della famiglia, in quella fatidica ‘ultima cena’.
Le due sorelle Blackwood si occupano dello zio Julian, fratello del papà rimasto invalido dopo quella misteriosa cena in cui tutti sono morti avvelenati e che continua a rievocare quel momento, soffermandosi sui dettagli più insignificanti, che trascrive pedissequamente su un diario e che rilegge in modo ossessivo ogni giorno.
Tutti e tre vivono insieme nella loro antica casa, circondata da un grande e folto bosco e da recinzioni chiuse ogni giorno da lucchetti per non far entrare nessuno, per proteggersi dal mondo che crede Constance l’artefice dell’omicidio degli altri membri della famiglia. Qui portano avanti la loro esistenza appartata, scandita da una rassicurante routine.
Fino a quando un giorno…
…la loro routine viene sconvolta dall’arrivo di un estraneo, il cugino Charles, la cui irruzione improvvisa farà precipitare gli eventi.
Dopo aver letto “L’incubo di Hill house“, anche “Abbiamo sempre vissuto nel castello” mi ha conquistata per le atmosfere inquietanti e turbanti, nonostante per più della metà del libro venga raccontata ‘solo’ la routine di casa Blackwood e i pensieri di Merricat. Non vi aspettate, infatti, suspense, colpi di scena o terrificanti omicidi. Qui troverete tutto ai limiti del detto e non detto.
Con, tuttavia, un colpo di genialità finale che vi lascerà a bocca aperta! Shirley Jackson non avrebbe potuto scrivere un epilogo migliore per questo suo lavoro.
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«Shirley Jackson resta una delle grandi interpreti della letteratura dagli impulsi più oscuri» («The New York Times»).
TITOLO: ABBIAMO SEMPRE VISSUTO NEL CASTELLO
AUTORE: SHIRLEY JACKSON
EDITORE: ADELPHI
GENERE: fiction gotica/mistery
AUTORE
Shirley Jackson è stata una scrittrice e giornalista statunitense, nota soprattutto per L’incubo di Hill House del 1959 e La lotteria. Ha esordito scrivendo per il prestigioso «The New Yorker» nel 1948. Nella sua carriera ha scritto anche opere per bambini, come Nine Magic Wishes, e persino un adattamento teatrale di Hansel e Gretel, The Bad Children. Muore per infarto nel 1965, forse a causa della terapia a base di psicoformaci che stava seguendo.