A casa
Sinossi
La protagonista di questa storia è una donna di cui non scopriremo mai il nome.
Sappiamo però che ha appena chiuso un capitolo della sua vita per cominciarne uno nuovo: dopo che la figlia è andata via di casa, ha deciso di lasciare il marito, un accumulatore compulsivo sempre preparato al peggio, ma anche un confidente, con il quale continua a intrattenere una regolare corrispondenza.
Priva di rapporti significativi al di fuori del nucleo familiare ormai sfaldato, la donna si trasferisce al mare, in una casa tutta sua; poco lontano si trova il paesino dove inizia a lavorare nel pub del fratello, un sessantenne fanfarone e sfaccendato. Mentre l’ex marito e la figlia giramondo continuano a occupare i suoi pensieri, con cautela la donna cerca di ambientarsi in un paesaggio umanamente e climaticamente duro: stringe amicizia con una sua coetanea originaria del posto, tenta una goffa relazione amorosa, rimesta tra i ricordi della sua vita passata e, immersa in una solitudine scelta ma non priva di inquietudini, si domanda che ne sarà di quella futura.
Capolavoro della grande scrittrice tedesca Judith Hermann, A casa è il racconto di una rinascita che parte da un luogo remoto, una tabula rasa che consente alla protagonista di mettersi a fuoco e sperimentare la libertà da donna matura non relegata al ruolo di madre e moglie.
Un romanzo armonioso, in cui una prosa superba tiene insieme tutte le fila e trascina con sé il lettore riuscendo a cogliere la sostanza impalpabile di un’atmosfera, uno stato d’animo, un incontro.
Recensione
“Questo mondo è il mio mondo perché mi trovo qui in questo momento, punto”
La ricerca di un’identità, di un luogo di ancoraggio e di appartenenza dove sentirsi A Casa, è il motore narrativo di questo racconto intimo e sobrio di Judith Hermann, autrice di spicco nel panorama letterario tedesco.
Un lavoro alienante in fabbrica, un matrimonio scivolato nell’indifferenza e la lontananza dalla figlia Ann lasciano un vuoto fisico ed emotivo che la protagonista ci racconta in prima persona, in un lungo dialogo con il lettore, cadenzato da piccole prese di coscienza e attimi di pura poesia.
Lasciare tutto e scappare via per ricostruire un presente di cui essere “ben soddisfatta” è l’unica scelta possibile e vivere il momento è la sola certezza nelle variabili cosmiche della natura del tempo…passato e futuro ridotti a fattori indecifrabili da scartare a priori.
Ricominciare, fare tabula rasa del passato, degli oggetti, dei ricordi, a quarantasette anni si può e si deve e passo dopo passo la protagonista riempie le frasi di virgole, di moti dell’animo in lotta con il dualismo della vita, del lento prendere e lasciare della marea.
«La vita rallenta, non trovi» dice Mimi. «Io ho l’impressione che diventi sempre più lenta. È brutto, per certi versi. Ma ti dà il tempo di capire ciò che hai – te lo mette davanti. Così vedi quali sono le cose di cui hai bisogno. E quelle a cui puoi rinunciare»
Il lavoro nel bar del fratello Sascha; l’amicizia con Mimi, la vicina dalla fisicità prorompente e rassicurante; la continua corrispondenza con Otis, l’ex marito diventato il confidente prediletto; l’intesa con Arild, uomo ruvido e solido, riempiono i giorni di consapevolezza.
“E’ questa la storia che ti volevo raccontare”
E la Hermann lo fa in maniera superlativa ed elegante.
A casa è un lavoro sopraffino di epurazione espressiva, quella complicatissima semplicità che rende ogni singola parola, il perfetto scrigno di emozioni mai espresse, di frasi mai pronunciate, di sogni buttati via.
Isac Babel ci dice che: «Non c’è ferro che possa trafiggere il cuore con più forza di un punto messo al posto giusto», tecnica narrativa a cui Judith Hermann attinge a piene mani, seguendo da vicino le orme del guru della letteratura minimalista: Raymond Carver.
Il lavoro di sottrazione che l’autrice opera sulla prosa ha una doppia valenza: la ricerca spasmodica del significato più nascosto e vero delle parole e allo stesso tempo della realtà e dei suoi arcani.
Una prosa essenziale, ma fascinosa ed affascinante.
L’assenza quasi totale del dialogo diretto ci incatena alla prosa cesellata e descrittiva, regalandoci un’esperienza visiva.
Per tutto il romanzo vige un’atmosfera di austerità: austerità lessicale e austerità emozionale. Tutto avviene nel sottotesto. I dialoghi sono ridotti all’osso, non serve altro da aggiungere – è inutile.
Ogni personaggio creato dalla penna della scrittrice è un satellite a sé, porta dentro tanti mondi, ma sono tutti invisibili.
Questo è un romanzo che parla di solitudine e di individualismo, di crisi di mezza età, di ricerca di un’identità personale e di radici, ma anche di interazioni sociali e di femminismo.
“Oh Signore, dice Mimi. Questa storia, se ti suona familiare. E’ una storia femminista. Come fa a non suonarti familiare. E’ vecchia come il cucco e noiosa, la storia più vecchia del mondo. Donne. Donne sottomesse, torturate, oppresse e maltrattate”
Come la storia di Ondina, che campeggia sullo stemma della regione – “una giovane ammansita, i capelli raccolti in una treccia, la mano sinistra adagiata sul petto con fare protettivo, la destra sollevata a monito”: un giorno è finita nella rete dei pescatori nel Blaue Balje, che l’hanno portata a riva, trascinata in una delle loro baracche, rinchiusa e violentata per giorni e notti per poi essere restituita al mare e liberata.
“Un’ondina giovane, praticamente una bambina. Squame turchesi orlate d’oro, pelle d’alabastro, lunghi capelli verde alga, un esemplare di rara bellezza.”
L’autrice dipinge la narrazione, la rappresenta, la Storia diventa un quadro di Mimi, ogni frase un’immagine olografica, sinestetica.
Di Lei non conosciamo le sembianze, né il nome. Una donna senza volto, un quadro di Hammershoi o un disegno di Matisse.
L’evanescenza dei suoi contorni facilita il processo di identificazione: Lei può essere ognuna di noi. Ogni donna in cerca di riscatto, di libertà, di vita, di nuovi amori, di nuovi amici.
Lei si descrive da sola, con i suoi ricordi. Un lavoro meccanico, la fabbrica di sigarette a Berlino, il suo monolocale, con un balcone affacciato su una stazione di servizio dove tutte le sere passa il suo tempo a fumare. Il caldo soffocante, lei scende le scale e va a comprare il gelato. Sempre il solito rituale. Per Lei anche l’infanzia non è stata facile. Lunghi momenti di abbandono e solitudine, di precarietà. Esperienze che induriscono, che inaridiscono.
La desertificazione delle sue emozioni si riverbera su tutto ciò che la circonda e sulla scelta chirurgica di ogni virgola, ma è qui che inizia la magia…le parole sono porte aperte su altri mondi, danzano sotto le righe e racchiudono in sé un’energia vitale che stride con l’apatia del racconto, come in un gioco di prestigio il lettore attento si ritrova in un “giardino segreto” oppure nel Sottosopra di Stranger Things.
Ogni personaggio è racchiuso in una bolla esistenziale quasi ermetica: “Siamo satelliti, credo, che orbitano intorno ai propri soli, ciascuno il suo”. Incredibile la vicinanza con l’idea che muove la trama di Corpi minori di Jonathan Bazzi.
Ann, la figlia, è una figura assente, la vediamo soprattutto nei pensieri della madre; non c’è contatto, la lontananza di coordinate viene ridotta da Skype. È una deriva. Ha un forte legame con la figlia, è un pensiero che riaffiora sovente nella sua mente. Lei è madre e lo ritroviamo nei gesti, semplici, che fa una madre quando vuole un contatto con il figlio, gli tocca la nuca, gli prende la mano. Un gesto rassicurante, amorevole.
Lo fa con Arild, il fratello di Mimi, con il quale ha una relazione, più importante di quanto lei pensi, di quanto pensino entrambi.
“poi gli stringo brevemente la mano. Lui mi lascia fare, sorride con aria assente…”
un gesto che LEI ha fatto poche volte nella sua vita, dice di non conoscerne il significato. Ma sa esattamente cosa vuol dire quel gesto.
Nike, amica di Sascha, è una giovane donna che lotta con la dipendenza e lavora come cameriera, viene invitata a un pranzo con Lei, Arild e Mimi e si presenta vestita come una ninfa. Indossa una sottoveste con nastri intrecciati tra i capelli. L’aspetto della ragazza ricorda la storia di Nike al matrimonio di Cadmo e Armonia, dove la dea faceva la cameriera. Tuttavia, a differenza della Nike mitologica, che era un simbolo di trionfo e gloria, questa Nike è una semplice mortale che combatte i suoi demoni interiori. La sua presenza è un ricordo commovente, un contrasto forte tra il mitologico e il reale.
Algidi, fatti di grezza materia umana, comparse in un destino che si decide in piccoli ed insignificanti gesti; ognuno di loro è lo specchio dei libri che cita la protagonista, accanita lettrice: da Doderer e La scalinata a Victoria di Hamsun, da Turgenev a Undici solitudini di Yates.
L’impronta letteraria che pulsa nelle profondità della narrazione di Judith Hermann è quella del Premio Nobel Heinrich Böll, di cui si riconosce l’austerità dei tratti, la presa di coscienza dei propri limiti e quel pudore nordico nel trattenere in pugno le carezze, come se dovessero bruciare.
“Tutto era grigio e silenzioso, una quiete invernale ovattata, i negozi del villaggio chiusi, le vetrine oscurate con fogli di giornale, la spiaggia deserta, le porte dei chioschi sigillate con assi di legno contro le mareggiate, i campi da tennis abbandonati e le isole sagome lontane nella nebbia.”
Paesaggi narrati alla perfezione, pennellate di solitudine, di letargo, di rugiada e il tutto amplifica la macro metafora della storia.
L’atmosfera che pervade il romanzo – A casa – è un altro personaggio all’interno della storia, con i suoi paesaggi rurali, malinconici: le maree scandite da un orologio; il ticchettio del tempo che scorre; i maiali che strillano; il tramestio degli animali in soffitta; il canto delle cicale; la terra color ocra, piena di crepe e profonde fessure; minuscoli gattini neri che fanno capolino tra le balle di fieno polverose….pennellate di parole nere su sfondo bianco.
L’inverno nel villaggio è, in tutto ciò, un affresco indiscutibilmente straordinario.
“il Mare dei Wadden è un simbolo, che tutto quel vuoto è un centro”
Luoghi solitari, isolati, una costa e il mare del nord della Germania, freddo anche d’estate, come freddi sono i personaggi. Tutto, o quasi, sembra impersonale. Forse.
La casa o le case che l’autrice ci presenta, anche con dei flashback, hanno la stessa nota, eccetto poche eccezioni, l’essenziale.
L’appartamento di Otis, il suo archivio/magazzino, è un’eccezione.
Otis è un accumulatore seriale, ossessionato dalla perfezione, anche un semplice uovo deve avere una cottura perfetta. Ancora un simbolo, la trasformazione interiore che si sta compiendo in LEI.
Per il resto le dimore sono minimaliste, pochi mobili, pochi arredi, poco di tutto. Sembrano CASE da “costruire”, interni da costruire, la nuova LEI, la nuova casa, la nuova anima.
Poi la scintilla. Il MAGO, una figura indistinta con le sue scarpe di pelle di serpente. Sicuramente un altro simbolo. Il serpente cambia pelle, è trasformazione e rinascita insieme, tentazione e conoscenza. Anche LEI deve cambiare pelle, ne ha un’urgenza inconscia ed impellente.
Il mago, uno degli arcani maggiori, le propone un cambiamento, deve essere la sua assistente e deve farsi tagliare a metà.
È proprio questo taglio che le servirà per costruirsi una nuova vita, lontano dal passato, in un posto isolato, per ritrovare le sue origini, le sue radici.
A casa è un romanzo di Ri-Formazione, fortemente simbolico, scolpito con raffinati attrezzi narrativi, che solo un esperto artigiano del linguaggio può gestire. Suoni e immagini scaturiscono dalle pagine con la potenza evocativa di un sogno, o di un incubo, regalando al lettore contemplativo un’esperienza unica.
Autrice
Judith Hermann
Ha esordito nel 1998 con la raccolta di racconti Casa estiva, più tardi, salutata con entusiasmo sia dal pubblico che dalla critica e adattata per il cinema. A casa, il suo secondo romanzo dopo L’amore all’inizio, è stato candidato al premio della Fiera del libro di Lipsia, ha vinto il Bremer Literaturpreis e in patria ha dominato le classifiche di vendita per mesi.
L’opera di Judith Hermann viene letta nelle scuole tedesche, è celebrata a livello internazionale ed è stata insignita di numerosi riconoscimenti, tra cui il premio Kleist e il premio Friedrich Hölderlin.