LIBRI COME OPERE D’ARTE: IL CASO MCDOWELL
Venerdì 17 gennaio. Ore 18.30.
Milano, libreria Feltrinelli di corso Buenos Aires.
L’occasione è un incontro con Paola Barbato e Giuseppe Grossi che presentano Katie, il romanzo di Michael McDowell appena uscito in Italia per Neri Pozza, e con Pedro Oyarbide, l’illustratore delle copertine dei libri di McDowell, che al termine dell’incontro personalizzerà le copie di Katie, Gli aghi d’oro e Blackwater con un ex libris esclusivo.
Ma vediamo subito chi sono Michael McDowell e Pedro Oyarbide.
Pedro Oyarbide è un illustratore spagnolo attualmente residente a Valencia. Dopo aver lavorato per numerose agenzie e studi nel Regno Unito, ora si concentra sulla sua carriera da freelance. Il suo lavoro combina uno stile disegnato a mano, facilmente riconoscibile, con influenze di stampe xilografiche, arte ornamentale e riferimenti alla cultura pop, fumetti e tatuaggi. Ha lavorato per diversi marchi, come Hurley, Miller Lite, O’Neill, Nike, Redbull e Globe. Le immagini di Oyarbide sono state utilizzate per coprire una vasta gamma di progetti commerciali e artistici, ma negli ultimi anni si è specializzato in copertine di libri, disegni di carte da gioco e altri design riccamente ornati.
Lo stile di Oyarbide si è perfezionato realizzando delle splendenti carte da gioco, e deriva dalla sua esperienza in accademia. Oltre che dallo studio della lavorazione del linoleum per stampe e timbri, sono molto forti e riconoscibili anche le influenze dal mondo dei tatuaggi e delle copertine di epoca vittoriana.
Michael McDowell (1950-1999) è stato uno scrittore americano che ha pubblicato oltre trenta romanzi e scritto per la televisione e il cinema (Beetlejuice e Nightmare before Christimas)
L’amatissimo Stephen King apprezza particolarmente la sua opera e la moglie, Tabitha King, si è occupata personalmente di completare un manoscritto incompiuto dell’autore (pubblicato nel 2006).
In Italia le opere di McDowell sono state pubblicate da Neri Pozza che ha iniziato con la saga Blackwater. Giuseppe Russo, ai tempi Direttore editoriale di Neri Pozza, in un’intervista ha detto: «Tutto è nato dalla constatazione di una crisi del tascabile, il cui mercato in Italia non è assolutamente paragonabile a quello degli altri paesi europei e degli Stati Uniti.
Da noi, il tascabile si fa notare soltanto in casi eccezionali, come durante le campagne promozionali. Interrogandomi sulla strategia per rilanciare i pocket, ho messo a fuoco l’idea di aumentare la quantità di “originals”, cioè di novità, e dare vita a una nuova collana per ospitarli.
Il libro era uscito negli Stati Uniti direttamente in tascabile, per volontà dello stesso McDowell, e con un ritmo di pubblicazione molto sostenuto, per richiamare l’idea del feuilleton. L’editore francese è uscito con un volume ogni quindici giorni, e lo stesso più o meno abbiamo fatto noi.»
E aggiunge: «Con la pubblicazione di Blackwater abbiamo scelto di seguire la scia dell’editore francese Monsieur Toussaint Louverture che aveva lavorato con Oyarbide sulle copertine: oltre ad avere un grandissimo fascino, avevano e hanno una straordinaria cura del dettaglio. Ogni singola immagine in copertina svela i momenti più salienti narrati nel libro che rendono la copia stessa un vero e proprio capolavoro da collezione.»
Ed è proprio da qui che inizia l’incontro, parlando delle splendide copertine e del lavoro inestimabile di Pedro Oyarbide.
Paola Barbato e Giuseppe Grossi interrogano l’illustratore sul suo modo di lavorare da cui emerge che di solito nei suoi lavori non gli viene chiesto di leggere l’opera prima di iniziare le illustrazioni; nel caso di Katie, invece, è stata fatta questa richiesta e man mano che leggeva buttava giù le sue idee per la copertina. Inoltre, ci ha confidato che Katie è il suo libro preferito: l’ha letto in tre giorni senza potersi fermare, lo ha molto coinvolto.
Il personaggio di Katie, che impersonifica il male, lo ha portato a scegliere i colori rosso e oro che danno una rappresentazione delle fiamme, dell’inferno. In questo caso c’è molto di lui lettore.
Il giovane artista ci ha poi spiegato che le sue illustrazioni, completamente realizzate in digitale, vengono poi stampate e lavorate con perizia artigiana per rendere il libro un oggetto d’arte da collezionare. La copertina, composta di più strati di carta e lamina metallizzata, si presenta in rilievo, grazie alla tecnica della goffratura, che, dando tridimensionalità alla grafica, la rende ancora più luminosa sotto la luce.
Alla domanda di quanto sia difficile trovare il giusto equilibrio tra i vari elementi del libro senza che questi emergano nella copertina, senza fare spoiler, Pedro risponde che rispetto alla saga Blackwater, che è una serie e quindi il lettore di volta in volta cercava degli indizi nelle copertine, in questo caso ha potuto lavorare con più tranquillità mettendo elementi evocativi senza fare spoiler, e questi si possono infatti trovare più sul retro del libro.
È stato un lavoro molto più complesso illustrare Katie. Se le immagini di Blackwater potevano avere delle simbologie, l’editore francese per Katie, invece, gli ha chiesto esplicitamente di non far trapelare nulla.
I due scrittori continuano a interrogare Pedro sul suo lavoro di illustratore e gli chiedono: «Tu prima hai citato i colori rosso e dorato per Katie, il colore quando ti arriva? È la prima cosa a cui pensi, l’impatto cromatico, o è una cosa successiva al disegno?»
Pedro. “Già in fase di bozzetto inizio subito a mettere il colore. Per esempio, con Katie sono partito con questi colori che poi sono rimasti; mentre in Blackwater ci sono stati dei cambi, perché all’inizio si voleva fare tutta la serie con lo stesso colore, poi, invece, hanno capito che ci dovevano essere delle variazioni tra un volume e l’altro.”
Paola Barbato e Giuseppe Grossi: «Il fatto che questa copertina sia ‘importante’ anche al tatto, cioè, sia tridimensionale, è un elemento che parte da te oppure è una richiesta della casa editrice?»
Pedro. «In realtà, è una cosa tipica dell’editore francese che ha avuto questa idea, di avere le copertine tattili e, quindi, io tengo conto anche di questo elemento quando disegno.»
Paola Barbato e Giuseppe Grossi: «A che età hai iniziato a disegnare?»
Pedro. «Ho iniziato a disegnare fin da piccolo, a 12 anni.»
Paola Barbato e Giuseppe Grossi: «Quanto tempo ci impieghi per disegnare le tue copertine?»
Pedro. «Circa due mesi.»
Il discorso si addentra poi di più nella trama del romanzo e nello stile di scrittura di Michael McDowell da cui emerge una scrittura cinematografica dello scrittore, che ricordiamo, ha dei trascorsi nel cinema e nella televisione.
E questo si capisce anche dalla struttura dei suoi romanzi che sono fatti da e di capitoli brevi, che cinematograficamente parlando sono assimilabili a delle immagini, a dei frames. Il capitolo breve in McDowell è come se fosse una fucilata, ogni capitolo si conclude con un sobbalzo che ti porta al nuovo capitolo. Questo modo di scrivere è molto moderno.
Katie, e in genere tutti i suoi libri, è come se fosse una serie tv ben scritta. McDowell ha una capacità di farci visualizzare quello che succede in modo molto semplice e diretto. E questo dà molto ritmo alla storia.
Ma entriamo più nel dettaglio e vediamo di cosa parla Katie.
«Katie contiene i miei omicidi più inquietanti ed è sicuramente il mio romanzo più crudele. Scriverlo è stato divertente. Da morire». Michael McDowell
Prologo.
“La vigilia del Natale 1863, nel pieno del conflitto tra Stati del Nord e del Sud, una bambina di nove anni, di nome Katie Slape, sedeva davanti al fuoco nelle stanze di uno squallido casermone di Philadelphia. Stava vestendo la sua bambola con scampoli di tulle, pizzo e lamé: tessuti di pregio, del tutto incongrui in quell’ambiente spoglio e cupo.
Il vento gelido di dicembre si insinuava nella canna fumaria e di tanto in tanto soffiava sbuffi di fuliggine su Katie e sulla bambola. Quando accadeva, la bambina sorrideva e la scuoteva per pulirla dalla cenere.
Seduta al tavolo della stanza c’era una donna sulla trentina, con rughe marcate sul volto e nessuna dolcezza negli occhi. Hannah Jepson stava badando a Katie mentre la madre, in arte Mademoiselle Desire, si esibiva sul palco dell’Olympic Theater. Il padre della bambina apparteneva al corpo genieri ed era impegnato a costruire le linee ferroviarie della Grand Army in Pennsylvania e nel Maryland, e a distruggere quelle dei sudisti in Virginia e nel Tennessee. Katie non lo vedeva da più di un anno.
Sul pavimento accanto a Hannah c’era una cassetta di legno, con otto cuccioli di barboncino che guaivano e grattavano le assicelle. Sul tavolo c’era una caraffa di liquore dei più scadenti. La donna riempì una siringa con il liquido nauseabondo, poi si mise un cucciolo in grembo e gli spruzzò l’intero contenuto in gola. Ripeté il processo con tutti i barboncini. I cani si strozzavano, dibattendosi nella sua presa ferrea e sputando un po’ di liquore sul suo grembiule, ma la maggior parte scendeva nei loro ventri gonfi.
«Perché lo fai?» chiese Katie.
«Ferma la crescita» rispose Hannah, laconica.
«E perché vuoi fermargli la crescita?» insistette la bambina.
«Per venderli alle signore della buona società» spiegò lei. «Sai, loro vogliono cani non più grandi di un cucciolo. A imbottirli di gin restano piccoli. Se sopravvivono» aggiunse, con un’alzata di spalle.”
Già dal prologo si comprende la piega gotica/horror che prenderà il romanzo.
Quando Philomena Drax riceve una lettera dal nonno, caduto nelle grinfie della crudele famiglia Slape che mira ai suoi soldi, si precipita in suo aiuto. Ma non ha fatto i conti con Katie Slape, giovane selvaggia, ladra spietata, veggente assassina. Fra incendi, spettacoli di cabaret e due colpi di martello, le due si rincoreranno come in una danza macabra nell’America della Gilded Age.
La storia che viene raccontata in Katie è ambientata tra gli anni ‘60/’70 dell’800 e inizi ‘900, quando c’erano ancora gli strascichi del far west, quello brutale, e questo si ritrova perfettamente nell’ambientazione di Katie. Ma, oltre a ciò, si ritrova anche l’America rurale, dove ogni cittadina è un fazzoletto – tipo La casa nella prateria – con un grappolo di persone, ma raccontato benissimo. I personaggi stessi, quando dall’ambiente rurale passano a New York, hanno un contraccolpo violento, perché N.Y. è talmente grande che ne rimangono sopraffatti.
Questo romanzo – fa notare Paola Barbato – è stato scritto nel 1982 e Neri Pozza, come già detto, sta facendo un lavoro di recupero di un autore che ha un’attualità nello stile assoluto. Katie è stato scritto nell’America degli anni ’80, che era l’America rampante, dello yuppismo, del consumismo, McDowell aveva uno sguardo pieno di disincanto, così disilluso che riversava nella sua scrittura asciutta.
Per quanto sia tardivo questo recupero di McDowell, è una cosa di cui si aveva bisogno. McDowell ci racconta delle bellissime favole, nere, che sono molto credibili, con dei personaggi costruiti molto bene: da quelli principali per arrivare ai terziari, tutti i personaggi sono fatti benissimo. E anche per quanto riguarda il concetto di famiglia che emerge dai ritratti che ne fa McDowell, le famiglie sembrano quasi piccole aziende dove i soldi sono fondamentali, ma rovinano i rapporti. Questo attaccamento ai soldi, per esempio, avvicina molto anche i personaggi di Katie e Philomela – e a questo punto, quasi al termine dell’incontro, riveliamo e sveliamo che in realtà, pur intitolandosi Katie, in questo romanzo la protagonista non è lei, ma Philomela.
Si diceva, quindi, dei soldi, che accomuna questi due personaggi. Ma c’è un altro elemento che le accomuna, la vendetta: quella iniziale di Katie nei confronti di Philo, per tutta la prima parte, e poi nella seconda parte quella di Philo verso Katie – in una danza macabra che, tra divinazione, predizioni, atmosfere gotiche/horror e colpi di martello, porterà il lettore a un crescendo di tensione che lo ancorerà alle pagine del romanzo fino alla fine.
Ore 19.30. L’incontro volge al termine, ma non prima che l’illustratore Pedro Oyarbide abbia apposto il suo esclusivo ex libris sulle copie dei libri – e io ne ho approfittato portando con me sia Katie sia Gli aghi d’oro, ma questa è un’altra storia, sublime.
Nota a piè pagina di Tiziana Ricci. Più che un gothic horror, questo romanzo è una favola nera, ma che alla fine si conclude con “Tutti vissero felici e contenti…”, mi ha ricordato molto l’inflazionato, per l’attuale periodo, Il Conte di Montecristo.