Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?
Gli specchi possono diventare strumenti narrativi potentissimi per creare dinamiche complesse tra i personaggi. Lo specchio, fredda superficie che cattura l’effimero, è un testimone muto delle nostre vite. Nei suoi riflessi si nascondono storie infinite, emozioni celate e verità inconfessabili. È un occhio che tutto vede, ma non giudica. Cosa può raccontare uno specchio? Può rivelare l’anima di chi si specchia. Può essere un portale verso altri mondi.
Lo specchio ci mostra chi siamo e chi vorremmo essere.
In fondo, lo specchio è un enigma. Ci pone domande a cui non sempre sappiamo rispondere.
Eppure, nonostante tutto, continuiamo a cercarlo, a guardarlo.
Interamente dipendente dal giudizio di uno specchio
Grimilde. Più che malvagia, un enigma. La sua bellezza, tanto algida quanto affascinante, si fonde con un’austerità che la rende quasi evanescente, sfuggente a una definizione univoca. Chi può davvero dire di conoscerla?
Grimilde non è semplicemente vanitosa; la sua identità è interamente costruita attorno al concetto di bellezza esteriore. Lo Specchio, più che un semplice oggetto magico, diviene il suo confidente, il suo giudice supremo, il metro con cui misura il suo valore.
La sua domanda ossessiva – “Specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?” – non è una mera richiesta di conferma, ma una disperata ricerca di rassicurazione esistenziale. L’immagine riflessa nello specchio definisce la sua stessa essenza.
By Nico
Essere brutti in un mondo di belli: il saggio-memorial di Moshtari Hilal
Cosa vediamo quando ci osserviamo allo specchio?
L’artista Moshtari Hilal, da adolescente, vedeva una faccia da cavallo: “Denti storti, faccia lunga, naso grosso. A quattordici anni imparai che sono brutta”. Lo racconta nel saggio “Bruttezza”, edito da Fandango Libri nel 2024. Comincia così la sua personale esplorazione del concetto di bellezza e di bruttezza, entrambi frutto di processi culturali che generano stereotipi e sopraffazione.
Appoggiandosi agli studi decoloniali, a quelli del femminismo nero e ai Disability Study, l’autrice intreccia esperienze personali (dalla sua decisione di non rifarsi il naso, come la sorella maggiore, a quella di non depilarsi) a riferimenti teorici per sollevare domande etiche prima che estetiche:
“Quali sono le conseguenze della sovrastimolazione alla bellezza, dell’adeguamento al Sé immaginario?” e ancora “Perché rifiutiamo la bruttezza a tal punto da creare un’industria di maquillage dei cadaveri?”.
Pur senza dare risposte definitive, men che mai consolatorie, tocca dei punti nevralgici quando scrive: “Abbiamo paura della bruttezza. La vediamo nella debolezza e nella decadenza dei corpi invecchiati e malati, nell’impotenza di quei corpi che vorrebbero toglierci ogni presunzione, ogni orgoglio e ogni dignità”.
Hilal è diventata oggi un’artista con base in Germania. Forse ha così addomesticato i suoi mostri di adolescente, con la consapevolezza di chi ha imparato che una riconciliazione con le proprie parti più sgradevoli passa necessariamente dal riconoscimento della propria vulnerabilità e dall’accettazione dell’imprevedibilità della vita. Un percorso che, a ben vedere, di bello ha ben poco.
By Donatella Vassallo
«Alzai gli occhi verso lo specchio e nella luce fioca temporalesca, vidi una faccia che non era la mia»
Elizabeth, la tua è una storia di fantasmi, e lo specchio ti rimanda il volto di una tua progenitrice, una donna ribelle, malvagia, che nel Cinquecento poteva essere solo una strega. In realtà penso che tu abbia visto una diversa versione di te stessa: la persona che vive ancora in una società dominata dall’ignoranza e dalla paura.
Non è un caso che ogni romanzo gotico che si rispetti, abbia eletto lo specchio come espediente narrativo preferito, l’unico in grado di veicolare la distorsione sociale in cui vivono i personaggi ottocenteschi e perfetto come portale per il regno del soprannaturale.
«Non sono d’accordo!» esplode Thomas «Se ci riflettete bene, aveva ragione Einstein e la teoria dell’universo a blocco, che concepisce la totalità dello spazio e del tempo come esistenti assieme. Quindi io vivo la mia vita non con il me stesso attuale, ma con tutti i me stesso che ho contenuto e che conterrò»
Vuoi dire che Elizabeth ha visto nello specchio solo se stessa? mah… secondo me c’è di più.
La tua esperienza Thomas è simile a quella di Elizabeth, solo che tu hai scelto come specchio le stelle e la Luna, cercando di dimenticare ciò che ti rimanda lo sguardo delle persone, quelle che aggrappate alla Bibbia ti condannano per una colpa che non hai.
Poi vivi praticamente con un fantasma e tutta la tua storia ruota attorno al mistero di una donna che avrebbe potuto benissimo essere la strega di Elizabeth!
«Sì, la mia creatrice, Sarah Perry, si è divertita a contornarmi di personaggi evanescenti, omofobi e bigotti, ma il titolo: Illuminazione, lo rivendico! Quello appartiene a me. Per quanto riguarda il giudizio della gente, ho accettato la mia natura e ciò che ne dicono gli altri non m’interessa»
«Beato te! Io non sopporto che la gente veda delle cose e dica delle cose su quello che vede» interviene Ronja
Ronja, la tua è la storia di un padre alcolizzato e di sogni infranti, stiamo parlando di specchi, così andiamo fuori tema!
«Ma anche Thomas ed Elizabeth sono d’accordo con me!»
Certo, perché siete tutti figli delle parole, delle combinazioni infinite delle lettere dell’alfabeto, come direbbe Roberto Cotroneo a suo figlio in una mattina d’estate, che io ho semplicemente messo assieme, facendovi ascoltare una storia che vi riguarda.
[Ndr. nessun personaggio è stato volontariamente maltrattato, mi perdoneranno i loro creatori per la libertà concessa loro nel mio dialogo]
By Patrizia Picierro
“Non so concentrarmi se non in presenza di immagini riflesse”
Uno dei celebri dieci incipit che compongono il metaromanzo “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, pubblicato da Italo Calvino nel 1979, è dedicato al tema dello specchio e ce ne offre un’interpretazione inedita e poco scontata.
Il protagonista di questo segmento narrativo (Cap. VII, “In una rete di linee che si intersecano”) è un facoltoso uomo d’affari, che è presto giunto alla conclusione che lo specchio gli è necessario all’esercizio del pensiero:
“Speculare, riflettere; ogni attività del pensiero mi rimanda agli specchi” (non sfugga l’ambiguità del verbo “speculare” anche in ambito economico-finanziario, data l’attività cui si dedica il personaggio…).
Appassionato collezionista di caleidoscopi e di barocche macchine catoptriche, ha costruito il suo impero finanziario sui principi che regolano il loro funzionamento, “moltiplicando come in un gioco di specchi società senza capitali, ingigantendo crediti, facendo scomparire passivi disastrosi negli angoli morti di prospettive illusorie”.
Vista la sua ricchezza, il protagonista teme per la propria incolumità e ha paura di essere rapito. Per questo, ancora una volta si ispira all’effetto fantasmatico che specchi e caleidoscopi gli hanno insegnato a produrre e per proteggersi organizza una vera e propria “moltiplicazione di sé”, attraverso una serie di sosia che si muovono con macchine uguali alla sua, frequentando i suoi stessi luoghi, in combinazioni orarie diverse.
Il rifrangersi della sua immagine non è dunque funzionale a metterlo in mostra, ma, anzi, a nasconderlo e dovrebbe tenerlo al sicuro, eppure la maniacale organizzazione fallisce e l’uomo d’affari viene rapito.
Per uno scherzo beffardo del destino, finisce per essere rinchiuso nella stanza catoptrica ispirata ai disegni di Athanasius Kircher, che ha fatto costruire nella propria abitazione: una stanza interamente tappezzata di specchi, che diventa una gabbia dalla quale non sa uscire e che manda in frantumi tutte le sue pregresse certezze:
“Ero stato rapito da me stesso? Una delle mie immagini proiettate per il mondo aveva preso il mio posto e m’aveva relegato al ruolo d’immagine riflessa?”
“Mi perdo, mi sembra di aver perduto me stesso, non vedo il mio riflesso”.
By Edy – @libro.maniaca