“Sono una scrittrice che, a causa di una serie di ingenui e inconsapevoli errori di giudizio, si ritrova con quattro figli e un marito, una casa di diciotto stanze senza una domestica, due alani, quattro gatti e - sempre che sia ancora vivo - un criceto”
Ma non sarà il carico degli impegni quotidiani che fermeranno la vena creativa dell’autrice più apprezzata dagli amanti del gotico e del mistery, anzi!
“Mentre rifaccio i letti e lavo i piatti e vado in paese a cercare le scarpette da ballo, mi racconto delle storie …”
È nel quotidiano, nel mondo ordinato e pacifico, che Shirley Jackson intravede la crepa che improvvisamente strappa la superficie, per svelare l’orrido che nasconde.
La perfidia, la tossicità del perbenismo imperante, il veleno che s’insinua nell’animo umano; sono questi i pilastri del suo raccontare, il tutto puntellato da una sottile vena sarcastica e beffarda.
“Lo scrittore scrive sempre, vede tutto attraverso una sottile nebbiolina di parole, crea piccole, rapide descrizioni per ogni cosa che vede, osserva di continuo”
Cresciuta in un tranquillo sobborgo di San Francisco, Shirley interiorizza fin da piccola il giudizio e la critica a cui viene sottoposta giornalmente dal rapporto disfunzionale con la madre, divenendo poi fonte principale dei suoi inquietanti racconti familiari.
La crudeltà, l’ipocrisia e la perfidia del consesso umano saranno i motori delle sue storie, giocate tutte sul filo del grottesco, del terrore rivelato, della cruda verità smascherata e palesata. Nascono così racconti geniali come La lotteria, dove neanche i bambini si mostrano innocenti, dove l’orrore sta nel prezzo che siamo disposti a pagare per mantenere quella stupida e linda cortina di normalità.
La sua capacità di scioccare si concretizza nel momento in cui il lettore si trova al centro della scena, lì dove il mondo rivela l’incrinatura della facciata.
“Lo scrittore deve operare con tutta la vivezza possibile, facendo leva sull’immaginazione del lettore, sperando che una parola possa spingerlo a guardarsi dentro, magari a ricordare un’emozione analoga, e a proseguire volentieri la lettura”
La sua prosa, nuda, efficace, priva di inutili orpelli stilistici, è carica di metafore e simbolismo, frutto di una cultura profondamente classica.
È da queste radici che nascono i suoi capolavori gotici, da L’incubo di Hill House ad Abbiamo sempre vissuto nel castello.
“ Io amo le case. Amo la loro solida presenza, e in particolare amo le case vecchie, grandi e stravaganti ”
Per dare vita a questi caposaldi del terrore, Shirley si è immersa per mesi nella lettura di libri sugli spiriti e sulle case stregate, come Action with Spirits di John Dee, oppure Case stregate dell’Inghilterra e del Galles, libri che le consigliava il marito, il critico letterario Stanley Edgar Hyman, ma il presupposto fondamentale per rendere efficace il racconto, era «credere ai fantasmi come me»
«Prima di cominciare a scrivere il romanzo ho passato alcuni mesi a leggere solo racconti di fantasmi, macinando volumi e volumi pieni di figure luminose fluttuanti in giardino e di misteriosi gemiti in soffitta, e forse non è stato del tutto salutare; ogni tanto per ritrovare la giusta prospettiva dovevo rileggere un capitolo di Piccole donne»
Peculiarità del suo narrato è il sodalizio emotivo che stipula con il lettore, il quale dovrà arrendersi e piegarsi ai meccanismi jacksoniani, ritrovandosi indifeso e in preda al terrore puro, quello mai rivelato, perfidamente suggerito e sussurrato.
La potenza del “non detto” è dirompente se s’insinua pian piano nella trama e s’intreccia con i brividi della lettura, distorce la realtà e amplifica la vivezza del racconto.
“Shirley diceva spesso che quando scriveva si aspettava che l’esperienza del narrare venisse completata dal lettore; immaginava che i suoi lettori fossero dotati di una certa cultura, o quanto meno di una certa capacità di attenzione, che riteneva che fra lo scrittore e il lettore ci fosse un rapporto di collaborazione”
Oltre ai romanzi più famosi già citati e il suo romanzo d’esordio, La strada oltre il muro, edito recentemente da Adelphi, Shirley Jackson scrive una quantità impressionante di racconti brevi e non solo, si diverte a creare vignette, acquerelli e disegni al tratto; tutto il materiale è stato rinvenuto dai figli dopo la morte dell’autrice e pian piano dato alle stampe.
Sono gli inizi degli anni Novanta quando Laurence trova davanti alla porta di casa una scatola con numerosi racconti inediti della madre e da quel momento i fratelli hanno cominciato a raccogliere tutto ciò che Shirley Jackson aveva scritto e mai pubblicato, nascosto negli archivi della Library of Congress.
La prima antologia, Just an ordinary day, raccoglie cinquantaquattro racconti, poi altro materiale è stato raccolto in Let me tell you, e in Italia sono stati pubblicati da Adelphi in Un giorno come un altro, La luna di miele di Mrs Smith e in Paranoia.
Paranoia è il libro che più di tutti consente al lettore di conoscere la vera Shirley, di vivere la sua quotidianità, di guardare dietro la penna e dietro l’abilissima tecnica di scrittura.
Diviso in quattro parti, si compone di racconti inediti, come Paranoia, Mrs.Spencer e gli Oberon, La bugia e Mille e una notte, ognuno muriatico e amaro quanto basta per rimanere indelebile nella memoria del lettore, per continuare con scritti, recensioni e saggi.
Particolarmente interessante la parte in cui Shirley Jackson racconta di sé, dei suoi rituali quotidiani, delle consuetudini familiari, di quelle cene in cui si parlava, tanto e di tutto e ci si sentiva.
Il ticchettio della sua macchina da scrivere ha accompagnato la vita quotidiana dei suoi figli, i suoi personaggi, sempre rigorosamente ispirati alla realtà, hanno il volto dei vicini, del figlio Laurence, del panettiere, della fioraia.
Così come interessanti sono le sue riflessioni sulla vita, sulla scrittura e sulla genesi di alcuni dei suoi migliori scritti.
“Per me la scrittura è sempre stato un atto privato”
Per finire con la Postfazione redatta dai figli, che racconta la loro annosa ricerca e minuziosa raccolta degli scritti della madre.
Non solo, è anche divertente leggere la reazione dei figli alla scoperta dell’ennesimo personaggio loro somigliante e dello stupore della gente davanti a racconti così scioccanti come La lotteria, storia aspramente criticata dalla maggioranza dei lettori.
Racconti così “cattivi” sorprendono ancora oggi, immaginiamo nella New York degli anni Quaranta, dove una spessa e impenetrabile patina benpensante avvolgeva il senso morale della comunità e le donne non avevano la possibilità di muoversi in autonomia.
In questo racconto, come in molti altri suoi scritti, Shirley accende un faro sull’efferatezza della società americana del tempo, sottolinea la complessa verità sulla natura umana e basa le sue storie sulla dislocazione emotiva, ossia la proiezione di emozioni, in genere negative, su vittime deboli e innocenti.
L’ansia sociale, l’agorafobia, i traumi infantili, così come il difficile ruolo di moglie di un maschilista fedifrago, la porteranno all’isolamento totale e alla depressione, che la portò alla morte all’età di quarantotto anni.
“Shirley Jackson comprese qual era il costo di mantenere la falsa facciata prima che il concetto diventasse ovvio. E vi diede forma narrativa in un’opera estesa e in un racconto dalla forza così compressa che non può essere affrontato oggi senza un brivido di orrore e di identificazione; una volta letto, è impossibile da dimenticare”
Patrick McGrath – Scrivere di follia