Settembre nero di Sandro Veronesi: la sua genesi - ilRecensore.it
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Settembre nero di Sandro Veronesi: la sua genesi

Ore 11:00. Milano. La Nave di Teseo.

È una mattinata a dir poco piovosa a Milano e per arrivare in casa editrice navigo le strade milanesi.

Una volta arrivata, siamo in sei ad attendere l’arrivo di Sandro Veronesi o, meglio, che lui finisca un’intervista in una sala attigua.

Eh sì, abbiamo avuto il privilegio di fare una tavola rotonda privata molto ristretta e per un’ora e mezza abbiamo ascoltato l’autore raccontarci del suo nuovo romanzo uscito da poco, Settembre nero, e poi abbiamo avuto la possibilità di fargli domande. Ma in realtà è stato più uno scambio di impressioni e opinioni. Molto interessante e proficuo.

Inizia l’incontro e Veronesi ci porta subito dentro il meccanismo del romanzo raccontandocene la genesi: un giorno era in viaggio in macchina e d’un tratto un’epifania – “mi è saltato addosso il racconto!”.

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Sandro Veronesi

In realtà all’inizio aveva in mente un altro libro, poi la storia del romanzo gli è apparsa all’improvviso e ha abbandonato quello che stava scrivendo per dedicarsi a questa nuova idea, inaspettata. 

Conoscete il racconto The dead di James Joyce? Ebbene, questo racconto ha la struttura cosiddetta 7/8 ossia per i primi sette ottavi succede qualcosa, mentre nell’ultimo ottavo la situazione si ribalta e succede tutt’altro.

Settembre nero gli è nato in testa già con questa forma e questa struttura, e anche completo del titolo, un titolo decisamente evocativo – un po’ come Maggio selvaggio di Albinati.

Anche qui, infatti, per i primi sette ottavi il romanzo ha una sua storia che poi viene ‘rivoluzionata’ nell’ultimo ottavo, “in cui la storia sterza”.

 Tant’è che nei primi sette ottavi è un continuo di “Non solo considerando quello che stava per succedermi, che non potevo prevedere…”, “sono diventato il ragazzo al quale era successo ciò che sto per raccontarvi…”, “nella storia che intendo raccontare”.

In realtà, già con l’incipit del romanzo si capisce di cosa si parlerà nel romanzo, quali sono le intenzioni dell’autore – un po’ come nell’immortale proemio dell’Odissea “Narrami, o Musa, dell’eroe multiforme, che tanto vagò…”.
«Per cominciare a raccontarvi questa storia devo parlare dei miei genitori. A quel tempo erano i custodi della mia serenità, e questo significa che erano dei bravi genitori. (…) Per questo i fatti che racconterò mi hanno così sconvolto: perché per la prima volta loro non hanno saputo proteggermi, anzi sono stati una delle cause degli sconvolgimenti che mi hanno investito. Per la prima volta il mondo è arrivato a toccarmi direttamente, senza filtri – e il mondo brucia, è fuoco vivo, e questo io non lo sapevo perché fino ad allora proprio i miei genitori si erano sempre messi in mezzo: quella volta invece sono stati loro stessi il mondo che si accaniva, perciò se si può dire che da un certo giorno in avanti non sono stato più felice – perlomeno non in quel modo -, è stato per colpa loro»

E il racconto della storia va avanti per tutti i primi sette ottavi del romanzo fino a quando si arriva all’ultimo ottavo dove succederà il fatto in questione, l’incidente, il punto “in cui la storia sterza”.

Ma di cosa parla Settembre nero?

Eccovi la trama.

“Il fiore non sa di essere un fiore finché non fiorisce. Settembre nero racconta la fioritura di un ragazzo di dodici anni, Gigio Bellandi, durante un’estate in Versilia nel 1972: la scoperta della musica, della lettura, dell’inquietudine, del desiderio, dell’amore – e poi di tutto questo l’impensabile, fulminea interruzione.

Ricostruisce con plastica precisione le immagini, gli odori, i colori e i suoni che animavano quella vita andata perduta, e con vaghezza, invece, perché subìto senza tante spiegazioni, l’evento irreversibile che la travolge.

Intorno a Gigio, vittime e colpevoli mescolati insieme, in una costellazione di personaggi struggenti e indimenticabili: il padre-tritone, la madre-leonessa, l’eroica sorellina e i due principali responsabili del suo improvviso sbocciare: lo zio Giotti, misterioso, timidissimo e purissimo maestro della forza, e Astel Raimondi, la ragazzina dalle treccine “nere come onice nera”, che fa in tempo a marchiarlo col segno indelebile dell’amore.

Ma è anche un romanzo sul potere evocativo delle parole – muflone muflone muflone muflone muflone – e su quello seduttivo e salvifico della lingua, perché racconta l’esplosione di un talento puro e sorprendente, anch’esso destinato a durare per sempre: quello per la traduzione.

La voce narrante è dello stesso Gigio, dal monte ventoso dei suoi sessant’anni, perché evidentemente ce l’ha fatta a risanare la ferita e ad andare oltre, cioè a “tradurre” alla fine anche se stesso, diventando così l’ultimo degli “eroi normali” tanto cari a Veronesi.”

Il protagonista del romanzo è Luigi Bellandi detto Gigio – «dodici anni e quattro mesi, promosso con Distinto in terza media, tifoso della Juve, di Bitossi e della Ferrari nonché patito per tutti gli altri sport pur senza praticarne alcuno, mite, passivo e generalmente poco intraprendente» – e quando inizia a raccontare, in realtà, è un uomo adulto che parla dal presente e ci racconta della sua estate del ’72, l’estate in cui tutto è cambiato.

L’estate del ’72, quando il 5 settembre avvenne la strage alle Olimpiadi di Monaco ad opera dell’organizzazione terroristica palestinese Settembre Nero, dove vennero uccisi 11 atleti israeliani.

Da qui il titolo evocativo, Settembre nero.

Gigio e Astel, «due famiglie vicine di ombrellone, ma non sono due famiglie tipo, benché composte da padre, madre, figlio e figlia. Nel caso del protagonista, la madre è irlandese e dà nell’occhio, pur non volendo, per via dei capelli rossi e l’altra addirittura è etiope e in quel tempo le persone di colore erano molto poco frequenti, sicuramente non le trovavi in spiaggia sotto l’ombrellone mischiate agli altri.

Sandro Veronesi presenta Settembre nero - ilRecensore.it
Io volevo che ci fosse qualcosa di molto anomalo, di moderno in questa storia di cinquant’anni fa. E perciò Astel è nata da un ricco industriale locale e una bella signora etiope.

Ho immaginato fosse etiope perché in quel periodo l’unica occasione di vedere persone di colore, era legata a scampoli post coloniali per cui c’erano eritrei, etiopi, che erano evidentemente figli del colonialismo italiano perché non c’era praticamente nessuno dell’Africa occidentale in Italia».

Ma è stata anche l’estate che Gigio ha trascorso guardando con la sua amica Astel Raimondi, vicina di ombrellone bella e di famiglia ricca, nella tv a colori – la tv a colori! – le Olimpiadi, leggendo la rivista Linus, ascoltando i dischi a 45 giri con il suo nuovo mangiadischi e il Tour de France con la radiolina a transistor portatile chiamata Grundig Micro Boy 300 e, infine il non plus ultra, ballando con Astel nella sua cameretta i nuovi LP – alla fine del romanzo si trova un elenco di tutte le canzoni citate nel libro, tra cui Virginia Plain di Roxy Music, Hitchcok Railway di Joe Cocker, Lady Stardust di David Bowie e Immigrant Song dei Led Zeppelin.

Tutto bello, vero? Mi ricorda le mie estati, felici, serene.

“Se fin qui vi ho raccontato tutte queste piccole cose non è perché le consideri importanti in sé – so bene che non lo sono – ma perché vi rendiate conto di chi ero io a quel tempo e di cosa era composta la mia vita, al culmine della mia infanzia, anzi già un poco oltre, a dodici anni, nell’estate del ’72; e così facendo, sforzandomi di ricordarle per raccontarle a voi, me ne rendo conto anch’io”.

Ma. Perché, come anticipato, ad un certo punto ci sarà un MA a rovinare questo idillio, e sarà nell’ultimo ottavo e riguarderà proprio la famiglia Bellandi. E questo ce l’ha detto il protagonista già nelle prime righe del romanzo.

Non sarò certo io a spoilerarvi cosa succederà di tragico al protagonista, questo spetta a voi leggendo il libro.

Posso solo dire che alla fine ci sarà un mistero da risolvere, senza che fino alla fine si sia capito che c’è un mistero da risolvere, ma questo mistero sarà così deflagrante che vi stupirà.

Ma allora, direte voi, cos’è questo romanzo? Un Lessico familiare in stile Ginzburg? Un romanzo di formazione alla Giovane Holden di Salinger? O un thriller/true crime?

Ce lo ha confidato Veronesi nell’incontro presso La Nave di Teseo.

Nell’intenzione dell’autore c’era quella di affrontare il tema dell’accettazione, che è anche il punto chiave della sua poetica di vita, e il tema dell’adolescenza, che per lui è una novità.

«Il punto è capire se, essendo quel che ero, io potevo o no opporre resistenza alla forza che me le ha fatte perdere in quel modo. È una domanda che mi sono fatto molte volte, e sono arrivato alla conclusione che queste risposte non si possono ottenere direttamente: si risponde a una domanda e ne spunta subito un’altra (…) Ecco perché ho pensato che mettermi a nudo con un racconto veramente sincero e onesto e scrupoloso possa servire a farmi andare finalmente oltre quella domanda: ero in grado di cambiare il corso degli eventi? Tutto quello che mi serve è una sillaba: sì. Oppure: no. E finalmente vedere cosa c’è dietro»

Ecco, quindi, cos’è questo romanzo: il romanzo della rinascita, la rinascita del protagonista, che alla fine della storia, dopo cinquant’anni, ha accettato quello che è successo, si è pacificato con questo e il meccanismo liberatorio della memoria è stato superato.

Un altro spunto molto interessante emerso dall’incontro che Veronesi ha esplicitato è che un aspetto che di sicuro non vuole che emerga è quello della nostalgia, questo romanzo non è e non deve essere percepito come nostalgico. 

Semmai, può essere definito un romanzo storico di formazione: storico nel senso che si parla di cinquant’anni prima e quindi tutti gli oggetti citati (la radiolina, il mangiadischi, la rivista Linus, le palline giocattolo) sono collocati in quel tempo, ma senza alcun elemento nostalgico, e poi nel senso che lui quei luoghi e quelle esperienze le ha vissute sulla sua persona, è una fonte diretta. Non, quindi, nostalgia, ma tenerezza. Ogni oggetto di quel tempo citato è come se fosse una madeleine proustiana.

Ore 12.30. Siamo giunti al termine dell’incontro. Giusto il tempo di farci fare l’autografo sul libro e Veronesi è già atteso per un’altra intervista.

Sandro Veronesi - Settembre nero -

Sandro Veronesi

Sandro Veronesi è nato a Firenze nel 1959. È laureato in architettura.

Ha pubblicato: Per dove parte questo treno allegro (1988), Gli sfiorati(1990), Occhio per occhio. La pena di morte in quattro storie (1992), Venite venite B–52 (1995, nuova edizione La nave di Teseo 2016), Live (1996, nuova edizione La nave di Teseo 2016).

 La forza del passato (2000, nuova edizione La nave di Teseo 2020, premio Campiello e premio Viareggio-Rèpaci), Ring City (2001), Superalbo(2002), No Man’s Land (2003, nuova edizione La nave di Teseo 2016).

 Caos calmo (2005, nuova edizione La nave di Teseo 2020, premio Strega, Prix Fémina e Prix Méditerranée).

Brucia Troia (2007, nuova edizione La nave di Teseo 2016), XY (2010, nuova edizione La nave di Teseo 2020, premio Superflaiano), Baci scagliati altrove (2012), Viaggi e viaggetti (2013), Terre rare (2014, nuova edizione La nave di Teseo 2022, premio Bagutta ed Europese Literatuurprijs).

 Non dirlo. Il Vangelo di Marco (2015), Un dio ti guarda (2016), Cani d’estate (2018). Con Il colibrì, uscito nel 2019 e tradotto in 27 lingue, ha vinto per la seconda volta il premio Strega. Nel 2023 ha pubblicato Comandante, romanzo scritto a quattro mani con Edoardo De Angelis.

Sandro Veronesi ha collaborato con numerosi quotidiani e quasi tutte le riviste letterarie. Attualmente collabora con il “Corriere della Sera”. Dall’ottobre 2020 è membro del Comitato per il Diritto al Soccorso. Ha cinque figli e vive a Roma.

Sandro Veronesi e Paolo Volponi sono gli unici autori italiani ad aver vinto due edizioni del Premio Strega.


Tra gli altri titoli, Terre rare (La nave di Teseo, 2022), Comandante(Bompiani, 2023), Gli sfiorati (La nave di Teseo, 2023), Settembre nero (La nave di Teseo, 2024).

Autore

  • Titty

    Socia fondatrice della Rivista IlRecensore.it e social media manager, Blogger, bookstagrammer e speaker radiofonica. Gli studi classici mi hanno aperto la via ai libri e da allora non ho più smesso. Accumulatrice seriale di libri, non mi bastano 24 ore al giorno per leggere tutti i libri che vorrei leggere e, soprattutto, non mi bastano le librerie che ho in casa!

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