In viaggio con Ambra tra le pagine di Diavoli stranieri sulla Via della Seta di Peter Hopkirk
Sinossi
«Improvvisamente il cielo diventa nero… e subito dopo la tempesta aggredisce con violenza
terrificante la carovana. Enormi vortici di sabbia mista a sassi sono sollevati in aria e turbinando colpiscono uomini e bestie. L’oscurità aumenta e strani schianti risuonano fra i ruggiti e gli ululati della bufera… sembra lo scatenarsi dell’inferno».
Per secoli, dal graduale abbandono della Via della Seta in poi, il deserto del Takla Makan nel Turkestan cinese è rimasto uno dei luoghi meno attraversati del pianeta. Finché all’inizio del Novecento, quasi all’improvviso, alcuni fra i migliori – e più visionari – studiosi di cose antiche hanno deciso, tutti insieme, di partire alla scoperta delle civiltà che si dicevano sepolte, e intatte, sotto la sabbia.
In questo libro, Peter Hopkirk racconta la storia, ancora una volta semisconosciuta ed emozionante, di come un gruppo di uomini quasi troppo adatti alla parte – per rendersene conto, basta guardare i ritratti di von Le Coq, di Aurel Stein o di Paul Pelliot che corredano il volume – abbia sfidato e sconfitto il caldo
rovente, il gelo mortale, le tribù ostili, e persino i dèmoni che la leggenda voleva a guardia dei tesori disseminati lungo la Via della Seta. Il risultato è una cronaca accurata e fedele che trasuda, quasi involontariamente, romanzesco ed esotismo – miscela perfetta che i lettori del Grande Gioco conoscono bene, e che non a caso una folla di sceneggiatori e registi ha tentato di imitare, quasi sempre invano.
Recensione
“Per più di un millennio il deserto del Takla Makan ha goduto, a buon diritto, di una pessima
reputazione tra viandanti ed esploratori. Eccetto quel pugno di uomini che ha attraversato le sue infide dune, alcune delle quali raggiungono un’altezza di novanta metri, le carovane l’hanno sempre aggirato fin dai tempi più remoti, preferendo seguire la collana di oasi isolate lungo tutto
il suo perimetro. Ma, anche in questo caso, i segnali mal tracciati venivano spesso cancellati dal vento e dalla sabbia, e per secoli una triste processione di mercanti, pellegrini, soldati e altri viandanti ha lasciato le sue ossa nel deserto, dopo aver perso la strada tra un’oasi e l’altra (…) Il Takla Makan è circondato su tre lati da alcune delle più alte catene montuose del mondo, mentre il deserto di Gobi chiude il quarto. Cosicché anche gli accessi sono assai pericolosi (…)
Ancora nel 1950 un viaggiatore scriveva (parlando del passo del Karakorum): “Nemmeno una volta, finché non discendemmo alle pianure, perdemmo di vista gli scheletri. La fila ininterrotta di ossa e di cadaveri fungeva da macabra segnalazione quando non eravamo certi della strada”
La storia vera raccontata in queste pagine è quella di una manciata di esploratori-archeologi- avventurieri impavidi (e con pochi scrupoli) che hanno spesso messo a repentaglio la propria vita per cercare i tesori sepolti da centinaia di anni nel deserto del Takla Makan.
Si tratta principalmente di Sven Heidin dalla Svezia, Sir Aurel Stein dalla Gran Bretagna, Albert von Le Coq dalla Germania, Paul Pelliot dalla Francia, Langdon Warner dagli Stati Uniti e dal conte Otani dal Giappone. I fatti narrati si dispiegano tra la fine dell’800 e la metà degli anni “20 del “900, quando i cinesi decisero di sbattere le porte in faccia ai visitatori occidentali.
Un centinaio di anni prima della nascita di Cristo un avventuroso viaggiatore cinese in missione per conto dell’Imperatore scoprì le vie verso l’Europa, e ciò avrebbe fatto nascere la Via della Seta (che partiva da Ch’ang-an, l’odierna Sian e arrivava a Roma). Il percorso era irto di pericoli e doveva la sua sopravvivenza esclusivamente alla collana di oasi che costellavano il perimetro del Takla Makan.
Queste oasi dipendevano dai fiumi glaciali che sorgevano dalle vaste catene montuose che contornavano sui tre lati il deserto. Per centinaia di anni la Via della Seta prosperò e raggiunse il suo apice durante la dinastia T’ang (618-907 d.C.). La capitale, Ch’ang-an, era una delle più splendide e cosmopolite città della terra, un luogo dove i diversi credi religiosi avevano il permesso di costruire templi e di svolgere liberamente i loro culti.
“La Via della Seta trasportò, oltre alle merci, anche il credo buddhista (nato nell’India
nordorientale nel VI secolo a.C.), destinato a rivoluzionare l’arte e il pensiero di tutto l’Estremo Oriente.”
L’espressione artistica buddhista emersa da questa zona dell’Asia centrale è chiamata arte di Gandhara ed è la fusione tra l’arte buddhista indiana importata dai dominatori Kushan nel I secolo d.C. e l’arte Greca, arrivata nella regione quattro secoli prima insieme ad Alessandro il Grande.
La grande rivoluzione dell’arte gandharana era la raffigurazione di Buddha in forma umana, e per di più con chiari elementi d’influenza ellenistica (naso e fronte rettilinei, labbra classiche, capelli ondulati e una veste in forma di toga). Gli elementi che derivavano invece dall’arte indiana erano le palpebre pesanti e sporgenti, i lobi delle orecchie allungati e il viso ovale e carnoso.
“I primi viaggiatori occidentali che nell’Ottocento raggiunsero la regione di Gandhara dall’India restarono stupefatti alla vista di quest’arte, così differente dalle forme “contorte, contratte e deformi” dell’arte religiosa indiana alla quale erano abituati.”
Oltre al buddhismo arrivarono sulle piste carovaniere dell’Asia centrale cinese anche altre
religioni, come il cristianesimo nestoriano e il manicheismo, che in Occidente venivano
perseguitate.
Nel tempo la civiltà della Via della Seta cominciò a declinare, e tra i motivi possiamo annoverare il graduale prosciugarsi dei fiumi glaciali che rifornivano d’acqua le oasi e l’arrivo dei Guerrieri dell’Islam dalla lontana Arabia che sconfissero la dinastia T’ang e convertirono l’intera regione del Takla Makan al nuovo credo. Ciò comportò la perdita di tutta l’arte figurativa, che per i musulmani era un abominio. Molti templi e santuari vennero danneggiati o distrutti dai Guerrieri dell’Islam e, di conseguenza vennero abbandonati e in breve tempo le sabbie del deserto li inghiottirono.
A metà 1600, sotto la dinastia Ming (1368-1644 d.C.) la Via della Seta venne abbandonata e la Cina si chiuse all’Occidente. Solo le oasi più ricche e meglio irrigate sopravvissero, mentre le altre vennero seppellite dalle sabbie del deserto, dove rimasero indisturbate per secoli, finché un pugno di avventurieri occidentali non cominciarono ad interessarsi al territorio.
“Gli abitanti delle oasi del Takla Makan si trasmettevano di generazione in generazione da tempi immemorabili strane leggende di antiche città sepolte sotto le sabbie. Si diceva che mucchi d’oro, d’argento e d’altri tesori giacessero tra le dune, a disposizione di chiunque avesse l’audacia di affrontare i territori naturali e soprannaturali del deserto.”
Fino a fine “800 i cultori di antichità non avevano ancora mostrato interesse per quella sperduta regione del Turkestan cinese, ma tutto cambiò quando venne rinvenuto il “Manoscritto Bower“, un plico contenente vari testi scritti in sanscrito con l’alfabeto brahmi, talmente vetusto da essere individuato come il più antico reperto scritto indiano venuto alla luce.
Da quel momento in poi si scatenò una gara archeologica tra alcune nazioni occidentali che
portò al ritrovamento di antiche città sepolte da secoli sotto la sabbia, contenenti favolosi bottini e scoperte archeologiche di primissimo livello.
Per intenderci, in una sola spedizione, Sir Aurel Stein riuscì a scoprire il prolungamento occidentale, scomparso da tempo, della Grande Muraglia Cinese, localizzò la posizione originaria del famoso Cancello di Giada della Cina (il luogo in cui passava tutto il traffico della Via della Seta) e si impadronì di un’enorme quantità di scritti antichi della biblioteca murata di Tun-huang tra cui risalta il “Sutra del Diamante”, il più antico libro stampato del mondo.
L’attrazione che questo territorio esercitava su esploratori di vario genere è ben spiegata dalle parole di uno di essi, l’americano Langdon Warner in “The Long Old Road in China”: “Pellegrini che traversano dall’India il Tetto del Mondo… orde mongole, ambasciate imperiali, gli smeraldi indiani e le stoffe del Catai, mercanti di cavalli, mendicanti- lo splendore, lo squallore, la sofferenza e la ricchezza dei viaggi più antichi della Storia- tutto questo avevamo davanti agli occhi, e non potemmo rifiutarlo”.
Al di là dall’essere d’accordo o meno se questi archeologi-avventurieri siano degli eroi o dei
mostri che hanno privato quelle terre e i suoi abitanti della loro Storia non possiamo non
rimanere affascinati dalle imprese di questi uomini, che per la curiosità e per la gloria erano
veramente pronti a tutto.
Nonostante si tratti di un libro di storia la lettura è talmente scorrevole e avvincente da poter essere letta come se fosse un romanzo di avventure, e il bello è che questa è una storia vera!
Se siete avventurosi e questa estate volete approfondire la conoscenza di queste antiche ed
esotiche civiltà potete visitare due luoghi simbolo della Via della Seta:
- Il grande monastero buddhista di Bezeklik con i suoi più di cento templi scavati nella roccia;
- Le “Grotte dei Mille Buddha” di Tun-huang, formate da quattrocento antichi templi e cappelle rupestri ricolme di magnifici affreschi e sculture buddhiste.
Per chi invece non prevedesse un viaggio in Asia ma in alcune città occidentali più o meno
vicine a noi sappiate che si possono ammirare i ritrovamenti di questi esploratori in vari musei:
- Al Museo Etnografico di Stoccolma di possono osservare i ritrovamenti di Sven Heidin, tra cui i
manoscritti ritrovati scoprendo Lou-Lan, un’antica città guarnigione cinese. - Il Museo Nazionale Indiano e il British Museum ospitano i ritrovamenti di Sir Aurel Stein di
Dandan-uilik (tra i quali si possono annoverare affreschi buddhisti, rilievi in stucco, dipinti su - legno), di Niya (antiche tavolette inscritte di legno in lingua Kharoshthi e altre che ritraggono
- divinità greche ma con sigilli cinesi), di Rawak (grandi statue di stucco di Buddha e Bodhisattva)
- mentre i manoscritti di Tun-huang sono conservati alla British Library e alla Biblioteca dell’India
- Office di Londra.
- Il Museo dell’Arte Indiana a Berlino ospita le opere sopravvissute alla Seconda Guerra
Mondiale delle spedizioni di Grünwedel e von Le Coq. Possiamo citare gli affreschi manichei, i
manoscritti miniati e i dipinti su stoffa trovati a Karakhoja, gli affreschi trafugati dal complesso
monastico di Bezeklik e le pitture murali di Kyzil (considerate per bellezza uno dei vertici di tutta
l’arte dell’Asia centrale). - Al Musée Guimet di Parigi vi è una galleria permanente che espone i ritrovamenti di Paul
Pelliot, tra cui una cospicua raccolta di documenti buddhisti redatti anche in lingue sconosciute
e i manoscritti che arrivano da Tun-huang. - All’Ermitage sono esposti i tesori della Via della Seta di proprietà russa, ad opera degli studiosi
Koslov, Oldenburg e dei fratelli Berezovskij. Tra di essi vi sono diversi dipinti buddhisti dipinti su
seta, lino e carta appartenuti alla tomba di una principessa sepolta a Karakhoto, la “Città nera”. - In Massachusetts, alla Fogg Art Gallery di Cambridge sono visibili i pezzi portati in America da
Langdon Warner, tra cui alcuni frammenti di affreschi di Tun-huang. - Nella galleria delle antichità orientali del Museo Nazionale di Tokyo sono esposte le opere
rimaste delle spedizioni pagate dal Conte Otani.
Ovunque andiate, buona scoperta e buon viaggio!
Titolo: “Diavoli stranieri sulla Via della Seta“
Autore: Peter Hopkirk
Editore: Adelphi Edizioni
Genere: Storia contemporanea, reportage
Traduttore: Gilberto Tofano
Autore
Peter Hopkirk (1930-2014) ha servito nello stesso reggimento – i King’s African Rifles –
in cui era caporale Idi Amin Dada. È stato corrispondente del “Daily Express” e del “Times”, e a causa di un talento investigativo troppo spiccato ha trascorso alcuni periodi di detenzione nelle celle di varie polizie segrete tra Cuba e il Medio Oriente. Ai rapporti intercorsi fra le potenze europee in quel vastissimo territorio lungo il quale correva la Via della Seta ha dedicato sei libri.
Presso Adelphi sono già apparsi “Il grande gioco” (2004) e “Alla conquista di Lhasa” (2008).
“Diavoli stranieri sulla Via della Seta” è uscito per la prima volta nel 1982.