Benvenuta Roberta Recchia tra le pagine de IlRecensore.it, la rivista letteraria pensata per tutti i protagonisti di questa meravigliosa passione che è la lettura.
Rompiamo subito il ghiaccio con una domanda che racchiude mille possibilità: Perché scrivi? Raccontaci del tuo rapporto con la scrittura.
Il mio rapporto con la scrittura è cominciato prestissimo, all’età di 11 anni. Inizialmente per me la scrittura rappresentava una fuga dalla realtà, perché avevo difficoltà a relazionarmi con i miei coetanei, con la mia vita di adolescente. Poi, a mano a mano, crescendo, il ruolo della scrittura è cambiato, ho smesso di concentrarmi su me stessa e su quello che scrivevo e ho trovato un mio equilibrio, ho cominciato a dedicarmi di più ai miei personaggi e ad ascoltarli, mi sono messa in ascolto delle loro storie.
Tutta la vita che resta (QUI trovate la nostra recensione) è il tuo romanzo di esordio ed è in corso di pubblicazione in 15 paesi. Una partenza sicuramente entusiasmante, e aggiungiamo, “che non avrebbe potuto essere possibile senza?“
Sicuramente non sarebbe stato possibile senza la mia agente Angela Ceccacci, che è la prima in assoluto che ha creduto fortemente e direi anche follemente nel mio romanzo, non si è fatta spaventare dal fatto che il mio nome fosse totalmente sconosciuto e ha sempre avuto verso di me una grande fiducia.
Il titolo Tutta la vita che resta e il suo significato intrinseco si comprendono al termine della lettura. Quale è stata la scintilla che ha fatto iniziare questo progetto?
In realtà, il tutto è partito da un’immagine. La scintilla di questo romanzo è stata l’immagine di Miriam che andava in bicicletta sul lungomare. Sono rimasta fortemente colpita da questa immagine di candore, di felicità adolescenziale, di innocenza. Poi, invece, scoprendo questo personaggio, ho capito che portava con sé una storia ben diversa, una storia anche dolorosa, ma nello stesso tempo di rinascita. Ho scelto di fare un passo indietro e di raccontare anche la storia di Marisa e Stelvio Ansaldo, perché pensavo fosse giusto per il lettore capire il tessuto su cui si crea lo strappo raccontato nella storia.
Letizia, Emma, Marisa. Che madri sono? Cosa significa per te essere madre/figlia? E c’è una loro caratteristica che ti sarebbe piaciuto possedere?
Letizia e Marisa sono due immagini di madri diverse. Sicuramente Letizia, nonostante ami le sue figlie, è una madre inadeguata, un po’ come la figlia Emma. È una madre imperfetta, un po’ anche per l’educazione ricevuta, educata a difendere l’apparenza a tutti i costi. Diversa è Marisa, che è una donna ben più moderna, nonostante la sua immagine di madre tradizionale, ma è pronta a prendere delle decisioni in modo autonomo ed è una madre molto aperta, tanto che educherà la figlia Betta ad affermare sé stessa, la sua indipendenza. Sono due madri diverse. Non avendo io figli, posso raccontare la maternità solo nei miei personaggi e attraverso loro, però amo molto il concetto di maternità espresso in Corallina, che, nonostante biologicamente non abbia messo al mondo dei figli – e non potrebbe farlo – è la più madre di tutte, a dimostrazione che non è necessario partorire un figlio per essere madre.
Corallina. Personaggio meraviglioso, bellissimo, sorprendente. Un vero e proprio personaggio alla Ozpetek. Il personaggio più difficile da dimenticare, quello che più di tutti rimane nel cuore. Corallina è dolce e altruista e si preoccupa sempre del fratello Leo. La sua non è stata un’infanzia facile e tuttora ne porta i segni. Come inserisci la sua figura nel contesto storico e sociologico in cui stiamo vivendo? Com’è venuto fuori questo personaggio?
Questo personaggio è venuto fuori in modo molto spontaneo. Io l’ho scoperta, come sempre, scoprendo i miei personaggi. Quando Leo torna a casa con Miriam in braccio, Corallina apre la porta. Ecco, io l’ho scoperta in quel momento, con un certo stupore ma anche con un po’ di inquietudine perché è un personaggio non facile da raccontare e, quindi, andava raccontato in modo molto delicato ed equilibrato. Corallina è un personaggio chiave nella storia, è un personaggio fondamentale e risolutivo. Con la sua soavità è capace di fare gesti di grande generosità e sarà colei che innescherà quel meccanismo necessario affinché emerga la verità nella storia, questa verità fondamentale per i personaggi per potersi ricostruire.
Tutta la vita che resta è un romanzo corale, con molti meravigliosi personaggi. Ci sono autori che predispongono il loro agire fin nei minimi dettagli ed altri che si affidano al carattere di ognuno per farsi quasi osservatori del loro agito. C’è stato, tra i tuoi protagonisti, qualcuno che si è dimostrato più autonomo, in grado di ritagliarsi una dimensione propria anche oltre le tue intenzioni iniziali?
Questa è una bellissima domanda. Uno dei personaggi che hanno preso piede in modo inaspettato nella storia è quello del Maresciallo Nardulli, perché con questo suo modo inizialmente così incerto, questo suo senso di inadeguatezza che serpeggia per tutta la storia però di grande umanità, che ha difficoltà a rapportarsi col suo mestiere per cui non si sente tagliato, però dà sempre dimostrazione di grande spessore umano perché prima di essere maresciallo lui per Stelvio è un grande amico. Per cui devo dire che alla fine, all’interno della storia, ha acquisito uno spessore maggiore di quello che pensavo avesse all’inizio.
Nel tuo romanzo hai attraversato la violenza, il dolore, ma anche la solidarietà femminile, emozioni forti che toccano corde sensibili. Cosa vorresti che rimanesse al lettore che ha concluso la lettura?
Il conforto. Mi piacerebbe che alla fine della lettura, nonostante il lettore abbia attraversato prima la dolcezza della nascita dell’amore tra Stelvio e Marisa, poi il dolore della frattura profonda che divide la vita di prima dalla vita di poi, il percorso sofferto e nello stesso tempo ricco di amore verso un senso nuovo della vita e verso la speranza, io vorrei che letta l’ultima riga, il lettore trovasse conforto nel sapere che è possibile ricostruirsi e rialzarsi dai dolori.
Stai già lavorando a qualcosa di nuovo? Se sì, puoi anticiparci qualcosa?
Sì, sto già lavorando a qualcosa di nuovo. C’è già un progetto che è ben definito.
Infine, chiudiamo con due inviti che rivolgiamo a tutti. Si dice che ogni buon scrittore è prima di tutto un buon Lettore, ci puoi citare tre libri che, secondo te, dovrebbero leggere tutti e un autore da scoprire o riscoprire?
Un autore da scoprire e riscoprire è Ugo Riccarelli con ‘Il dolore perfetto’, che viene troppo spesso dimenticato. Poi, un libro che per me è stato importante perché mi ha insegnato come si può intrattenere scrivendo e nello stesso tempo scrivere bene è un’autrice americana che ha scritto negli anni ’50 ed è Grace Metalious che ha scritto ‘Peyton Place’ e in italiano è stato tradotto con ‘I peccati di Peyton Place’ e poi uno dei miei libri del cuore ‘Io non ho paura’ di Niccolò Ammaniti.
Poniti una domanda che nessuno ti ha mai fatto, ma a cui avresti sempre voluto rispondere.
È solo bello pubblicare un romanzo? Pubblicare un romanzo è bellissimo però in qualche modo costringe uno scrittore a confrontarsi con sé stesso perché la pubblicazione di un romanzo è uno svelamento. Ci si espone molto e si espongono le proprie fragilità ed emozioni, in certi momenti ci si sente esposti ed è una cosa a cui è difficile abituarsi, soprattutto per chi come me ha fatto sempre una vita riservata.